In questa tornata di amministrative il centrodestra ne esce, certamente, vincitore. La conquista di Ferrara e Forlì sono obbiettivamente un traguardo storico.
È l’affermazione del blocco sovranista, ormai diventato trasversale e capace di intercettare diverse fette di elettorato opposto al sistema del Partito Democratico. Certo è che, se in diverse regioni il centrosinistra è riuscito, nonostante le difficoltà a “tenere botta”, il Lazio ha certificato il fallimento della gestione Zingaretti. Non tanto dello Zingaretti segretario quanto di quello Presidente della regione.
Infatti, andando ad analizzare i risultati nei nove turni di ballottaggio il dato è inconfutabile. Al PD soltanto la rossa Monterotondo e Cassino, dove il centrodestra veniva da una serie di errori incomprensibili e che è capitolato insieme al forzista Mario Abbruzzese.
Per il resto è solo centrodestra, con le vittorie a Tarquinia e Civita Castellana in provincia di Viterbo e la riconquista delle pentastellate Nettuno e Civitavecchia. A Tivoli vince il candidato civico Giuseppe Proietti con il Partito Democratico addirittura escluso dal ballottaggio.
Ma se questo non bastasse a sancire la sconfitta, la batosta arriva con il crollo delle roccaforti democratiche Ciampino e Palestrina. La prima feudo elettorale dell’ex consigliere regionale Lupi, già sindaco della città e vicino all’area dell’On. Renzo Carella, la seconda simbolo dello strapotere di Rodolfo Lena.
Lena è stato primo cittadino di Palestrina per dieci anni prima di diventare presidente della commissione sanità nel primo governo Zingaretti e quindi essere rieletto nelle elezioni regionali del 2018. A lui, oltre che al segretario Dem, vengono imputati i tagli alla sanità laziale e la chiusura di ben sedici ospedali e di decine di reparti in nosocomi situati in punti nevralgici per la sicurezza e la salute dei cittadini.
Possiamo dire allora che, il voto del Lazio, è la bocciatura delle politiche amministrative della sinistra, da troppo tempo più impegnata nella risoluzione dei problemi interni tra correnti che nell’amministrazione del territorio.
Oltretutto Zingaretti è stato, e continua a essere, un presidente assente, oggi disperso tra le stanze del Nazzareno. Che quello del nove maggio sia stato un avviso di sfratto a lui oltreché ai tanti sindaci a lui vicini?