Wicked – Parte 1 di Jon M. Chu — La magia di essere diversi in un mondo che ci vuole nemici

Gli assoluti sono ambigui e arbitrari ma è difficile contestare l’etichetta che gli storici cinematografici danno all’anno 1939, cioè quello di “anno magico del cinema”. È l’anno di uscita di capolavori come “Via col vento”, “Ombre Rosse”, “Ninotchka” e soprattutto “Il mago di Oz”. Il Cinema era sinonimo di western e adesso anche di musical, cosa che oggi può suonare molto strano.

Siamo sul finire del 2024, Jon M. Chu (Crazy Rich Asians) dirige l’adattamento dell’amatissimo musical di Broadway, primo capitolo (di due) che espande il mondo di OZ come il palcoscenico non consente ma solo il cinema può fare. Wicked – Parte 1 è un racconto sull’amicizia, le rivalità (di classe) e su come la percezione pubblica crei mostri.

Il cuore del film è in una dialettica della contrapposizione: Elphaba (Cynthia Erivo) “diversa” solo perché la sua pelle è verde in una realtà che respinge chi non si conforma. Sfida un sistema che la vede come minaccia e che finirà per stigmatizzarla (ed emarginarla) fino a trasformare un’eroina in “Strega Malvagia”; Glinda (Ariana Grande) è l’archetipo della “strega buona” perché si conforma alle aspettative sociali e non osa alzare la voce. La sua “bontà” non è mai pura, ma si inserisce in un contesto di ambizione e manipolazione.

L’élite del mondo magico in cui è ambientata la storia è descritta come una forza conservatrice che usa la figura del reietto con il colore della pelle diverso dal loro come strumento per distrarre e manipolare le masse. Infatti, “…il mondo ha bisogno di un nemico per unirsi”, frase pronunciata nel film, è una riflessione affilata sulla strumentalizzazione del “diverso” da parte di chi detiene il Potere. In un’epoca in cui la politica della paura cerca di minare la nostra comprensione dell’altro, la trama si propone come uno specchio del reale. Come Elphaba, possiamo decidere di essere fedeli a noi stessi, sfidando i ruoli imposti, o possiamo cedere alla pressione di un mondo che cerca di forzarci in uno schema.

La regia di Chu esplora la vastità del mondo di Oz, ma non sempre riesce a sfruttarne pienamente il potenziale visivo. L’illuminazione e la palette cromatica opaca, lontane dalla brillantezza del Technicolor de Il Mago di Oz (1939), sminuiscono l’impatto visivo di set magnificamente costruiti. Fortunatamente, la coreografia e l’energia dei numeri musicali compensano questa lacuna. Le canzoni “The Wizard and I” e “Defying Gravity” brillano per la loro forza emotiva, con quest’ultima che non è solo una canzone iconica, ma la fine di un viaggio che prepara perfettamente il terreno per il secondo capitolo.

Wicked – Parte 1 è un’opera di intrattenimento ricca di emozione e rilevanza tematica ed è molto più di una semplice trasposizione. È un momento di grande cinema (politico come tutto il grande cinema) che lascia gli spettatori pieni di immagini e concetti bellissimi e affamati di ciò che verrà.

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