Verba manent: una zuppa di partiti

La storia politica italiana è caratterizzata dal cosiddetto “multipartitismo estremo”, cioè dalla continua fecondazione di nuove fazioni, con nuovi simboli e nuovi nomi, spesso variamente interpretabili – ad eccezione del fu Partito Comunista, che, almeno, tale era e significava.

C’è stata la Democrazia Cristiana, la quale, fondata sul sostrato della democrazia, intendeva riunire tutti i cittadini cristiani, che votassero secondo divina provvidenza e memori che nell’urna “Dio ti vede; Stalin no”. Invero, la vecchia DC fu tutto fuorché spiritualmente cristiana.

Poi è arrivata Forza Italia, nata come un grido di battaglia alla Sinistra e vissuta come un vero e proprio coro da stadio. Peccato che, rispetto a un decennio fa, manchino troppi tifosi a intonare il motto liberal-popolare.

È interessante altresì l’idea che si possa diventare “Fratelli d’Italia” più con una tessera di partito, che con lo studio della nostra storia, identità e cultura. “Fratellanza” che significa unione. Unione che vuol dire spirito di solidarietà con tutti. Appurato ciò, siamo ancora sicuri che il partito di Giorgia Meloni non debba rivedere il suo nome?

E infine “Azione” (neonato di Carlo Calenda), “Cambiamo”, “Italia viva” (da qualcuno Renzi si sarà pure ispirato) e la lista si allunga, rispetto alla sopportazione degli italiani, la quale invece diviene sempre più breve.

In fin dei conti, se ragionassimo in termini di coerenza, rivaluteremmo lo scontatissimo “Gruppo Misto” in Parlamento. Coi partiti non c’entra, ma almeno ha un nome coerente.

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