Verba manent: una questione di giustizia


Una questione di giustizia: l’altro ieri, quasi che il destino a volte voglia prendersi delle piccole rivincite contro castelli di carta costruiti dagli uomini, sono arrivate due sentenze importanti. L’una ha assolto Simone Uggetti, ex sindaco di Lodi, attaccato per una turbativa d’asta durante il suo mandato. Assolto dall’appello bis, particolare tenuità del fatto. L’altra, invece, ha condannato il censore Piercamillo Davigo. 15 mesi per rivelazione del segreto d’ufficio nell’ambito del caso Amara. 

Il caso dell’ex sindaco è stato uno dei più eclatanti di mala giustizia negli ultimi anni. Costretto alle dimissioni, è stato travolto da ondate di fango da destra e da sinistra. Il giornale Libero, nel 2016, titolava “Un arresto al giorno leva Renzi di torno”, così come tanti politici hanno attaccato il PD e Uggetti giudicato già colpevole. Il M5S fu tra gli sbandieratori del caso; solo nel 2021, dopo la sua conversione e la poltrona ministeriale ottenuta, Luigi Di Maio in una lettera al Foglio aveva chiesto scusa, reo, scrisse, di aver “contribuito ad alzare i toni contro Uggetti”. 

Nel paese di Cesare Beccaria, ricordato già nelle scorse settimane tra le righe di questa rubrica, nell’Italia che costituzionalmente garantisce la presunzione d’innocenza, uno dei magistrati più in vista, per l’appunto Davigo, teorizzò che “un innocente è soltanto un colpevole che non è ancora stato scoperto”. Tale affermazione fu poi ritrattata nei vari salotti televisivi dove l’ex magistrato era ospite, ma non fu smentita del tutto alla prova dei fatti. Egli ha annunciato che farà appello, malgrado, in passato, abbia ricordato che la possibilità di impugnare una sentenza di condanna dovesse essere circoscritta a pochi casi. Forse il suo rientrerebbe tra questi, secondo il suo punto di vista. Per essere chiari: nessuno contesta la preparazione giuridica di Davigo; si discute sulle sue posizioni, che troppe volte hanno sfociato nel più ampio giustizialismo, male assoluto di questo Paese.

Ecco che il problema giustizia torna più chiaro che mai: da una parte Uggetti, vittima sacrificale del sistema, dall’altra Davigo, ex magistrato apparentemente inscalfibile, condannato in primo grado nel caso Amara. Vogliamo, sogniamo, un Paese che tuteli gli indagati, i condannati non in via definitiva, che non li tratti come criminali colpevoli, che dia loro una seconda opportunità e che, in caso di condanna definitiva, le misure seguenti alla condanna possano offrire una reale occasione di riabilitazione. Rieducare, non punire. Desideriamo un’Italia libera da poteri giudiziari troppo pressanti, troppo invadenti – sappiamo bene che non è possibile pretenderla libera totalmente da tali poteri. I tribunali non siano più luogo di distruzione, ma di sano giudizio, fino alla fine discutibile. E discutibile in sede legale, non sui giornali. 

Saremo utopisti, ma non ci arrenderemo finché qualche miglioria sarà evidente nella realtà dei fatti. 

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