Verba manent: un ricordo di Giovanni Falcone, oggi, a trentadue anni dalla morte

Oggi sono trentadue anni dalla brutale uccisione di Giovanni Falcone, fatto esplodere insieme a sua moglie, Francesca Morvillo, e a tre agenti della scorta. 1992, dopo essere atterrato all’aeroporto di Punta Raisi, il magistrato muove il convoglio che sull’autostrada Trapani – Palermo, all’altezza di Capaci, verrà fatto saltare in aria da uomini di Cosa Nostra. E appena due mesi dopo, verrà ucciso anche Paolo Borsellino, con cinque agenti della sua sicurezza. Inutile, oggi, ricordare i momenti di quella vicenda, ormai è cronaca ben documentata. Quello che va fatto, e soprattutto non va considerato puramente retorico, è tenere viva la memoria di chi ha lottato contro ciò che è più difficile da sconfiggere: il potere ombra della mafia. 

Anche oggi, dopo trent’anni, la legalità combatte quel potere oscuro che parallelamente viaggia rispetto allo Stato, alle istituzioni; e arriva dove intende arrivare con molta più facilità e velocità, perché si nutre di strutture prive di burocrazia e ricche di malaffare, gerarchie, comandamenti, ordini. Soprattutto, muove le proprie fila verso settori innovativi, fuori dai vecchi business di interesse criminale, ma oggi diventati appetibili: dati, sicurezza, turismo. E se, fortunatamente, non accadono più fatti plateali come quelli delle stragi di quegli anni, sarebbe sbagliato supporre che il modus operandi si sia civilizzato: falso. È stato capito che l’attenzione è alta, quindi bisogna agire nell’ombra. Ma sempre agire. 

Dal lato delle istituzioni, la battaglia prosegue. L’arresto di Messina Denaro, arrivato sì in un momento di crollo del potere del boss, ma pur sempre eclatante come obiettivo perseguito, è stato un passo in avanti. Non tanto perché Messina Denaro fosse ancora quel pericolo che era in passato, piuttosto giacché si è trattato di una dimostrazione dell’efficienza, in continuo aggiornamento, dei nostri sistemi di intelligence. Ben venga il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, a cui il governo sta dando lustro e sostegno con un contributo annuale, per ripagare chi ha servito e lottato contro il sistema mafioso. Ben vengano, altresì, le iniziative culturali: apre a Capaci un museo immersivo per raccontare la strage e la lotta alla mafia, come anche tutte le iniziative che le scuole italiane mettono in atto in occasione del 23 maggio. La formazione alla legalità passa da qui: far capire alle nuove generazioni che non basta il coraggio, ma serve anche la partecipazione. 

Quello di Giovanni Falcone non dev’essere solo un ricordo, bensì un modello etico per tutta la società civile. Vivere come Giovanni Falcone non vuol dire essere un magistrato esemplare, significa anche soltanto essere un cittadino consapevole che la strada delle istituzioni è quella della legalità e del servizio alla comunità. Tutto ciò che è fuori dal tracciato di quel percorso è ciò che va combattuto. 

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