Esistono storie (tristi) che nessuno racconta. Ed è strano, perché spesso l’uomo è più propenso a leggere brutte notizie anziché gioire delle felicità altrui. La cronaca che sommerge l’informazione quotidiana ne è un esempio. E se qualcuna di quelle storie tristi proviene per giunta da un Paese extra europeo, allora a nessuno importa. A noi, invece, preme raccontarla.
È l’agonia di Wu Huayan, una ragazza cinese che all’età di quattro anni rimase orfana dei genitori, con un fratello gravemente disabile da accudire, in una delle zone più povere della Cina. Un solo pasto al giorno: ciotola di riso e peperoncini, del valore di circa 20 centesimi di euro. I risparmi servivano a curare suo fratello, insieme a due magri sussidi statali. La ragazza è morta di recente, al peso di 20 chilogrammi e 135 centimetri di altezza.
Wu si è spenta nell’anno in cui Pechino – seconda economia al mondo – ha dichiarato di voler “sradicare le ultime sacche di estrema povertà”. Troppo tardi.
L’amore fraterno è una clessidra che non si esaurisce: scorre, cede granelli all’altro capo, ma non si svuota. Nell’imperante desiderio di avanzamento economico e di posizionamento politico, la Cina, così come tutti gli altri grandi Stati, se trascura storie come quella di Wu Huayan, può anche vincere in termini strategici, ma perderà in termini morali e culturali.
Fate vostra questa certezza: un Paese che si priva di amore, finirà, presto o tardi, sull’orlo del baratro.