Verba manent: sia il festival a gestire messaggi politici e sociali

Se il Festival di Sanremo finisse senza alcuna polemica, sarebbe soltanto una competizione tra cantanti. Uno dopo l’altro, gli artisti si esibirebbero e, alla fine della canzone, gli verrebbe tolto il microfono per evitare che commentassero con un invito o uno slogan l’attualità. Ma, se così fosse, nessuno lo guarderebbe più. 

I tempi che viviamo non giovano ai fautori del festival come gara unicamente canora; no politica, no attualità, no messaggi sotto mentite spoglie. Due guerre insanguinano i nostri confini, entrambe, da entrambi i rispettivi fronti, discutibili sotto molti aspetti. Cosa vi aspettate che esca fuori da uno spettacolo in cui il fine sociale ha da tempo surclassato quello musicale? Sarebbe, piuttosto, da rivalutare il modo in cui ogni messaggio debba essere trasmesso. E dovrebbe essere la stessa televisione, quindi lo Stato, a dare spazio a certe tematiche davanti a un pubblico di milioni di spettatori, anche fuori dall’Italia. Non si tratterebbe di un’ingerenza statalista, bensì di una scelta ben precisa: lasciare sì gli artisti liberi di lanciare inviti e messaggi, ma gestire tematiche tanto importanti in maniera accorta. 

Laddove Amadeus tace, l’artista di turno piomba sul palco, si esibisce, poi lancia messaggi apparentemente universali, che tuttavia celano un pensiero chiarissimo per chi bazzica un po’ i social, il sistema che si crea è già un cortocircuito di informazioni distorte. Ghali dice “stop al genocidio”? Da applausi. Ma è facile capire a quale genocidio si riferisca, sempre che abbia le prove documentali che “quel genocidio” sia stato commesso, quando, come e perché. E siccome è semplice intuire che un artista, il quale vuole lanciare un messaggio e ha un proprio pensiero a riguardo, difficilmente sarà imparziale nel giudizio, allora deve essere l’organizzazione a occuparsi di fornire una visione chiara. Ovvero, nel caso specifico, ad esempio, dedicare qualche minuto della serata a un discorso del tipo: “Siamo vicini a tutti i popoli colpiti dalla guerra, chiediamo che cessi il fuoco o, almeno, che la risposta di Israele sia proporzionata agli attacchi vili subiti il 7 ottobre da Hamas, senza rendere l’offesa più violenta della difesa. L’Italia, comunque, ripudia la guerra come da Costituzione”. 

È così difficile prendere una posizione in tal senso? Così la versione istituzionale sarebbe chiara, poi ogni artista, legittimamente, la penserebbe come vuole. Sarà il pubblico – e la storia – a dargli torto o ragione. Ma lo Stato, nei rappresentanti della sua televisione pubblica, non avrebbe responsabilità. 

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