Verba manent: quello che emerge dallo studente che mima una pistola davanti a Giorgia Meloni

L’altro ieri, durante una seduta del Senato in cui il presidente Meloni faceva le sue comunicazioni all’aula, uno studente, spettatore, ha mimato il gesto della pistola contro il premier. Subito interrotto dalla sua professoressa, è intervenuto anche il questore dell’aula e sono seguite polemiche, poi scuse da parte del liceo romano Augusto Righi e del ragazzo, che scriverà una lettera alla Meloni. Oltre alla narrazione di una vicenda poco goliardica e piuttosto triste, come quella che è avvenuta al Senato, è bene riflettere su alcuni aspetti che emergono.

In primo luogo, quello che potrebbe apparire come un gesto isolato e sconsiderato, rappresenta in realtà un grande problema che affligge le giovani generazioni: la distanza tra istituzioni e realtà giovanile. Il conflitto generazionale, soprattutto in un Paese che invecchia molto e cresce poco, pesa come un macigno nelle diversità di vedute tra palazzi e quotidianità, tra contenitore delle politiche pubbliche e contenuto, che ne è destinatario. Se cresce, a livello anche solo di percezione, la consapevolezza dei giovani su molti temi – uno su tutti l’ecologia – rallenta invece la partecipazione alla cosa pubblica. Non solo l’affluenza al voto è crollata, ma il 42% degli elettori tra 18 e 34 anni alle ultime elezioni politiche ha scelto di non votare. Inoltre, i giovani rappresentano solo il 20% del corpo elettorale; di conseguenza, si capiscono molte delle scelte della politica, rispondenti alla maggioranza dei propri elettori, che è anzitutto anagraficamente più datata. 

Volendo poi guardare al lato comportamentale, non solo c’è disinteresse, ma talvolta dis-educazione verso la cosa pubblica. Che si traduce in gesti di infantile disprezzo, di innocua – almeno fisicamente – minaccia, come tre dita che mimano una pistola che spara. Non sono solo le baby gang di cui tutti parlano ad assumere un fare sprezzante verso la socialità, ma anche casi isolati come questi che, godendo di una certa rilevanza mediatica, rimbalzano qua e là e anziché insegnare come comportarsi “a contrario” rischiano perfino di suscitare emulazione. Fa “figo” sfidare il presidente del Consiglio in aula mentre parla? Risposta quantomai scontata, ma non in tutti i contesti. In Italia, dal 2010 al 2023 la criminalità giovanile è aumentata del 39%; dato che rispecchia un tempo dove l’educazione impartita alle nuove generazioni è evidentemente insufficiente, cosicché è opportuno che intervenga la repressione penale davanti a comportamenti che, con una consapevolezza maggiore e una formazione più retta, spesso potrebbero essere evitati. 

La scuola prenderà provvedimenti verso lo studente che si è comportato in questa maniera. Non dispiacerebbe se anche la politica, prendendo spunto da quanto accaduto, guardasse alle generazioni in età di formazione con più attenzione. Quello che chiedono i ragazzi non è bonus e click day, ma politiche di stampo più europeo, ambientale e sostenibile, oltre che lavoro, sanità e istruzione di qualità, come del resto chiedevano anche coloro che erano giovani molti anni prima di loro. Cambiano i tempi, mutano le sensibilità. La politica deve rispondere a certi messaggi. È il suo compito. 

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