Repubblica Democratica del Congo, solo di nome. È una terra ricca, dov’è contenuto il 60% del cobalto estraibile mondiale, coltan e diamanti abbondano. Ma come gran parte dell’Africa, in verità è poverissima. Il paradosso si svela e si nasconde, allo stesso tempo, in una storia che si ripete da secoli, e che non intende cambiare il proprio corso. Sfruttamenti, razzie, oligopoli occidentali che mettono a tacere le grida di chi vive lì.
O si sopravvive, o si diventa ribelli, terroristi, o si parte. Tuttavia anche partire è difficile: il Congo è lontano, lontanissimo dall’occidente. Cinquemila chilometri da noi, ovvero dal benessere, dalla serenità – apparente, spesso – e dalla normalità. Qui, da noi, quando qualcuno spara il popolo s’indigna e diventa un caso. Lì, da loro, quando qualcuno spara è quotidianità. Se, giustamente, però, qualcuno spara e uccide un nostro ambasciatore, allora il mondo si mobilita. Attanasio, Iacovacci e Milambo, l’autista, incolpevoli vittime dell’ordinaria vita in Congo. Rapire, per sequestrare e ottenere soldi con cui finanziare attività illecite e nuovi rapimenti e sequestri. Un cerchio della morte che va avanti così.
Il Congo è tanto lontano dal mondo “sviluppato”, nella misura in cui esso l’ha ignorato. Cioè sempre, cioè tantissimo.