Verba manent: più che al braccio teso, guardiamo a quanto lavoro offre Elon Musk

Se il giornalismo è andare dritti al punto, in tempi in cui la competizione è nel trovare strambe perifrasi per farsi capire senza dire, noi vogliamo essere chiari: del presunto saluto romano di Elon Musk non ci interessa nulla. Anzi, men che nulla; è una faccenda il cui dibattimento fa sprecare tempo, inchiostro, carta, colonne di pagine web che sarebbe meglio rimanessero in bianco. 

Prendiamo due casi, gli opposti: Elon ha la sindrome di Asperger, che comporta, anche se in forma minore rispetto all’autismo, delle manifestazioni motorie incondizionate. Quello poteva essere un saluto rivolto a un ospite indistinto, o un modo spontaneo di mostrare la propria gioia per la cerimonia della vittoria di Trump. Ma allineiamoci pure ai soloni della sinistra nostrana, e gridiamolo: Elon ha fatto il saluto romano, è fascista. A onor del vero, ricordiamoci che Musk è nato in Sudafrica, un Paese che durante gli anni della guerra e del Fascismo combatteva al fianco degli Alleati; che poi ha ottenuto la cittadinanza canadese, ovvero quella di un altro Paese combattente con gli alleati; infine naturalizzato statunitense, i liberatori per antonomasia dal regime nazifascista. E dunque stiamo a ideologizzare su un braccio teso? Per favore. 

Al di là di tutte le riflessioni sugli scenari del nuovo corso della politica statunitense, e dell’incerto concreto ruolo di Musk nell’amministrazione Trump, guardiamo ai dati, prima di gridare a qualcosa per fortuna scomparso 90 anni fa. Tesla, la società di cui Musk è CEO, dà lavoro a oltre 128.000 persone nel mondo, SpaceX invece offre lavoro a circa 10.000, Neuralink a più di 400 persone e Twitter a 1.500. Secondo una somma approssimativa, si tratta di circa 140.000 persone che lavorano grazie alle sue aziende. Praticamente un’intera città capoluogo di provincia di un grande regione italiana. 

La nostra opinione è apolitica, perché un personaggio come Musk è difficilmente inquadrabile in uno schema socio-politico, e poiché questa sarà la sua vera prima esperienza attiva in un’amministrazione statale. E proprio per queste ragioni, fatichiamo a comprendere come molti possano etichettarlo già, addirittura secondo vecchi francobolli appartenenti al nostro passato, ma tutt’oggi abusatissimi. Anche chi avversa Trump e le sue politiche protezioniste, dovrebbe comunque essere soddisfatto sia della considerazione che la nuova amministrazione statunitense ha dell’Italia, grazie a una sapiente costruttrice di rapporti come Giorgia Meloni, sia felicitarsi dell’amicizia della stessa con l’uomo più ricco del mondo. 

Quando l’Italia era isolata dalle dinamiche occidentali, relegata ai bordi dell’Unione e dimenticata dagli storici alleati americani, si criticavano (giustamente) i governi per mancanza di opportunità. Oggi, con una situazione nettamente migliore, si critica il governo parimenti. Forse qualcosa non va, ma dal lato di chi critica?

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