Verba manent: per il governo elezioni regionali da dimenticare

Un voto passato in sordina, forse volutamente, da stampa e televisioni. Chi sapeva che domenica e lunedì si sarebbe votato in due importanti regioni d’Italia? Sfidiamo a rispondere. Anzi, la risposta ci arriva dai dati: astensionismo record come d’altronde gli ultimi appuntamenti elettorali ci hanno abituato. In Emilia – Romagna non ha votato neppure un cittadino su due, in Umbria poco meglio, appena oltre il 50% degli aventi diritto. 

Anziché interrogarsi sul voto, la politica dovrebbe guardare all’astensione. Se alla gente non sta a cuore il governo della propria regione, tanto da disinteressarsene completamente in un fine settimana generalmente senza scuse (il weekend al mare di luglio è ben lontano come alibi), vuol dire che la classe politica ha deluso. E non ha rispettato obblighi, non ha garantito diritti né ne ha estesi altri, non si è presa cura della cosa pubblica. Strano, vero? Viene votata, eletta e stipendiata per quello. 

L’Emilia – Romagna è una regione col PIL pro capite più alto del 13% rispetto alla media UE; è una regione che traina la nostra economia. Eppure il suo Presidente viene eletto con il voto di neppure la metà degli aventi diritto. Il problema è impellente e le istituzioni sembrano ignorarlo. Si parla di astensione, sì, ma come si mette mano al problema? L’epoca della digitalizzazione pone tutti in connessione con gli altri. È dunque facile guardare a modelli virtuosi fuori da noi. Pensiamo alla settimana corta lavorativa, di cui si sta ora parlando, ma l’Islanda l’ha introdotta nel 2015 e il Regno Unito l’ha sperimentata qualche anno fa, col soddisfacimento del 93% delle aziende coinvolte che hanno deciso di mantenerla. È un esempio, se ne potrebbero fare altri, ma questo ben si sposa con l’idea di un progresso sartoriale per il cittadino: lavoro, benessere psicofisico, vita individuale, hobby. 

Chi ci governa, in tutto ciò, come si pone? Non vogliamo essere pessimisti, ma rispetto alle elezioni appena trascorse, chi governa sembra averle ignorate, fatte passare in sordina anche grazie a una stampa e a un sistema mediatico piuttosto conniventi. Senza dubbio non è un due a zero alle ultime elezioni che cambia la prospettiva di un Paese, dal punto di vista della sua maggioranza di governo. Ma l’atteggiamento di fronte a un appuntamento siffatto è emblematico dell’etica politica. Per quanto ancora continueranno a guardare al proprio mandato, alla propria rielezione, ignorando il fatto che è uno Stato come l’Italia non si riforma in cinque anni ma non ne bastano addirittura quindici? Tre legislature, mica una. 

Ecco, pertanto, che il progresso del Paese si fonda su un leale passaggio di testimone tra una maggioranza incaricata e un’altra. Il politico che ha governato può permettersi di non farlo più, lasciando in altrui mani le redini della nave, perché precedentemente ha avuto un ruolo in altri settori dello Stato o del privato. In altre parole: ha lavorato. Questa filosofia va contro l’idea, fin troppo diffusa ultimamente, della politica come il lavoro. Vivere di politica significa far morire il Paese. 

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