Una scarpa pestata accidentalmente legittima un omicidio? È la domanda, palesemente retorica, che tutti ci siamo posti. Retorica e triste, se si pensa che il caso ha riguardato due giovanissimi, dei quali uno, Santo Romano, 19 anni, è rimasto ucciso. Futili motivi, dice la legge; una rissa tra bande di ragazzacci incolpevoli di esserlo, uno che prova a riappacificare i gruppi, la pistola, lo sparo, la morte. Si può morire a 19 anni così?
Santo Romano era un bravo ragazzo. Sono stati spesi fiumi di parole per descriverlo, fin troppo dettagliatamente – le televisioni, in preda al consueto delirio di onni-prestazione catalizzatore di consensi e share, hanno mandato in onda interviste di ogni tipo ad amici, fidanzata, parenti. Addirittura, sono stati raccontati i progetti che Santo e la sua fidanzata avevano per il futuro (volevano due gemelli, si dice). Mentre si attirano spettatori comprensibilmente divisi da due sentimenti contrastanti, affranti per la vicenda e iracondi per l’assassino, si sottovaluta il nocciolo della questione: il dramma delle giovani generazioni più emarginate. Chi ha sparato è un ragazzo di 17 anni, che ha già vissuto il carcere minorile per reati di simile portata. Una volta uscito, non è stato seguito nel processo post reinserimento, perché la legge non prevede un “follow up” per i minori che escono dai penitenziari. Strano, vero? Non se ne parla mai, persi nei meandri della cronaca politica più becera. La domanda che tutti dovrebbero porsi è questa: cosa porta un ragazzo neanche maggiorenne ad impossessarsi di un’arma da fuoco, portarla con sé e sparare a morte verso uno sconosciuto per futili motivi?
Potremmo sembrare spietati: quel ragazzo è colpevole ai sensi della legge, ma non ai sensi dell’etica. Non è moralmente responsabile di quello che ha fatto, giacché nei primi diciassette anni della propria vita dev’essere qualcuno a insegnarti cosa fare, cosa non fare, come comportarti e, soprattutto, come uscire dalla periferia sociale e mentale. Provincia di Napoli, San Sebastiano al Vesuvio: la vita di tutti i giorni non è facile e i ragazzi non crescono con sani principi per naturale impostazione. Malavita, criminalità, influenze esterne negative, voglia di riscatto sfogata nella maniera più immediata; tutto ciò compromette la crescita delle giovani generazioni che vivono un disagio troppo sottaciuto da stampa ed enti sociali. Quel ragazzo, l’assassino, se è uscito dal carcere e pochi mesi dopo è ricaduto nell’errore fatale evidentemente non ha avuto bravi maestri. È un criminale, senza dubbio; va punito, senza dubbio. Ma quando capiremo che l’unico rimedio a questi drammi è l’educazione, che bonifica menti, territori, quartieri, generazioni dal marcio della malavita?
Santo Romano è morto, ma rimane il suo esempio involontario. Quello di un ragazzo per bene che voleva pacificare una situazione esasperata. “Siamo ragazzi, ma che stiamo facendo?”, immaginiamo avrebbe detto. Già, sono ragazzi, e a quell’età non dovrebbero pensare alle pistole, ma a come cambiare il mondo. Quel mondo che li ha fatti nascere ai margini della società e che, tuttavia, talvolta offre finanche opportunità di riscatto. Basta volerle e capire come prenderle. Sicuramente, la pistola è ben lontana da certi buoni propositi.