Con la notizia dell’integrazione da parte della Regione Toscana all’interno del proprio ordinamento, e del proprio sistema sanitario, della sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita, è emerso un paradosso tutto italiano. Da una parte, infatti, è stata bocciata dalla Corte la legge sull’autonomia differenziata, impedendo che le regioni possano gestire autonomamente settori nodali, dall’altra, però, una materia così delicata come l’eutanasia è stata rimessa all’arbitrio regionale.
In altre parole, terzo mandato probabilmente no, ma facoltà di far eseguire suicidio assistito ed eutanasia, sì. Non trovate sia paradossale? Visto che non v’è normativa nazionale, la Regione può agire indipendentemente. La Corte nel 2019 aveva dichiarato la “non punibilità di chi, in determinate condizioni, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da patologia irreversibile”; in Parlamento, dopo sei anni, nessuno è riuscito a imporsi e a ottenere i numeri per approvare una legge.
L’anomalia, la stortura del sistema nazionale sta proprio qui: un aspetto così intimo, a cui la legge deve comunque fornire disciplina, viene relegato non a tutti gli italiani, ma a una sola parte di essi – i toscani.
A noi fa riflettere come il codice penale non preveda che il suicidio sia reato (come punire il reo, post mortem?), ma indichi l’aiuto al suicidio come reato all’articolo 580, e una Regione possa invece dare la possibilità di morire per proprio desiderio, aiutati da qualcuno. Le tesi più ricorrenti opposte dai pro vita hanno un fondo di realtà, soprattutto quando si riferiscono al fatto che una situazione in verità passeggera o risolvibile possa diventare impulsivo pretesto per morire. D’altro canto, la natura più liberale ci impone di essere onesti, in primis con noi stessi: ognuno dovrebbe disporre della propria vita come meglio crede, senza ostacoli statali. Fu così per il divorzio nel 1970, altrettanto per l’aborto qualche anno dopo; potrebbe essere parimenti anche per questi aspetti.
In una società in rapida evoluzione, il rischio dei sistemi legislativi è quello di costringersi a rincorrere, anziché anticipare. Nessuno si oppone a una cornice legale per contornare i fenomeni sociali; liberalismo e anarchia sono concetti ben lontani. Metaforicamente, sarebbe opportuno che la polvere che giace sui processi legislativi venisse spazzata via. Società mutevoli, sistemi snelli, che non si piegano al primo scellerato che grida “libertà”, ma che si adattano a chi cambia.