Che il calcio da anni non sia più solo uno sport, è un fatto noto. Attorno a un pallone corrono ventidue professionisti e, soprattutto, tanti milioni. La finale del mondiale appena conclusosi è stata una partita epica per quelli che ancora vedono il calcio in chiave romantica, mentre ha avuto un significato molto politico per chi guarda a questo sport con un pizzico di malizia.
Alla fine, dopo l’ultimo rigore che ha premiato l’Argentina, l’emiro del Qatar ha dato a Lionel Messi un mantello nero, il Bisht, simbolo di prestigio, ricchezza e potere. Si tratta di un abito tradizionale maschile indossato dagli uomini che contano in Qatar. La domanda sorge facilmente: perché Messi?
Se il calcio porta con sé un giro di soldi assai cospicuo, è altrettanto vero Messi è il calcio oggigiorno. Non è solo un calciatore, un campione; è quello che Maradona e Pelè sono stati in passato: simboli mediatici globali e strumenti geopolitici con una forte valenza culturale. Leo Messi nella sua carriera ha giocato in Spagna e ora in Francia, eppure le sue magliette da anni sono vendute in ogni parte del pianeta. Quel mantello è il suggello del potere, è il messaggio di appartenenza a un mondo, quello del dio denaro che domina il dio passione. Il Qatar ha così manifestato il suo potere sul calcio; potere che si è guadagnato coi soldi e non sul campo. E quel mantello ha coperto la maglia a strisce dell’Argentina, nazione vincitrice del torneo, popolo di gente che ama il calcio, fucina di talenti da sempre.
Un vestito nero sopra i colori biancocelesti che è emblema dei nostri tempi. Chi ha i soldi può capovolgere usi e costumi, imponendo i propri. Può perfino decidere come finisce ciò che è nato popolarmente, ovvero lo sport di chi tiene tra i piedi un pallone.