Dopo l’annuncio di alcuni giorni fa, Matteo Salvini è arrivato in Polonia. È difficile capire a fondo le ragioni della visita. Non si comprende perché Salvini si sia recato al confine tra Polonia e Ucraina, a quale titolo, con quali obiettivi, con la consapevolezza di poter fare cosa in più rispetto agli altri. Forse ha sfilato per una passerella mediatica, atta a ripulire il suo passato filorusso, probabilmente è andato a nome di uno dei principali partiti italiani (pur non essendo una personalità di governo), oppure si è recato lì mosso da spirito cristiano.
Fatto sta che l’accoglienza della cittadina di Przemysl non è stata gradevole: dure contestazioni e il sindaco pronto a riceverlo con la maglietta di Putin, la stessa che il legista aveva indossato nel 2015 durante una visita a Mosca. “Gli ho ricordato chi sono i suoi amici”. E ieri, in un post su Facebook, ha condiviso i meme che il web ironicamente ha creato sulla vicenda.
A margine della vicenda, però, si può riflettere: Matteo Salvini è colpevole per quello che ha detto e fatto nei suoi anni più bui, tra il 2014 e il 2015. E in questa vicenda avrebbe potuto cogliere l’occasione per ammettere i suoi errori e scusarsi, o, almeno, seguire la linea Draghi senza architettare sceneggiate celate dietro l’egida dell’umanitarismo politico. Chiarito ciò, il comportamento del sindaco non è certamente migliore. La Polonia oggi ha bisogno di solidarietà nell’accoglienza dei profughi, di aiuti e di sostegno. Quello che, ad esempio, l’Italia non ha avuto durante la crisi europea dei migranti. Vendicarsi su un uomo, e un leader politico, che oggi si reca in quei luoghi per dare una mano, al di là dei retroscena supposti, è un atteggiamento privo di visione politica e di educazione istituzionale.
Qualcuno dirà “è pur sempre un sindaco, mica il capo del governo”. Ma è proprio l’amministrazione locale che per prima deve fronteggiare l’emergenza nelle zone di confine. Respingere per vendicare non è un segnale propositivo.
