Il fascino della sovranità, del pugno duro alla guida di un Paese. L’immagine di Putin, Trump, Bolsonaro, a capo di diversi Stati ma, semplificando, con simili caratteristiche. Possono ammaliare le masse, che nel mare della dispersione politica e dei partiti cercano sicurezza; ma non sono esempi da seguire, come qualcuno, dalle nostre parti, ha sostenuto.
Putin ha aggredito l’Ucraina, portando di nuovo la guerra in Europa. Trump, come Bolsonaro, ha implicitamente fomentato un assalto alle istituzioni dopo che il popolo aveva scelto un nuovo leader.
È il populismo, che nella sua fase “post” prova a rimanere in ballo costi quel che costi. Anche in uno Stato come il Brasile, dove il regolare esercizio della democrazia non è così scontato come altrove, gli elettori hanno delegittimato Bolsonaro, che tuttavia non si è arreso. Con Trump fu lo stesso, a distanza di un anno.
Un po’ ovunque emerge la tendenza da parte degli elettori di cercare meno populismo e più competenza; o, quantomeno, effettuare una scelta ragionata. E quei partiti che avevano strizzato l’occhio al populismo, come FDI in Italia, compresa la situazione, hanno subito invertito la rotta, costruendosi intorno a dei principi e creando un’identità. Non più banali slogan, ma proposte.
L’errore che molti hanno commesso è stato quello di credere che la stagione populista fosse più longeva, o che i suoi effetti fossero più incisivi nel tessuto sociale. Si sono innamorati dei grandi leader, che invece si sono dimostrati fallaci e alcuni, addirittura, guerrafondai e rivoluzionari.
Un monito per le stagioni politiche a venire: guardare al politico come uomo, non come volto. Perché il volto rimane cristallizzato al momento in cui rimane impresso, col rischio che, cambiati i tempi, si abbia sempre la stessa idea di lui. Vederlo come uomo, invece, implica un ragionamento più profondo; capire, cioè, che tutti cambiano e seguono il soffiare del vento. Un politico dovrebbe volere il bene del paese, non il proprio, costi quel che costi.