Se vogliamo dare importanza al mondo parallelo dell’opinionismo e del dibattito, ovvero i social network, che si affiancano a quello più istituzionale e austero rappresentato da stampa e tv, allora la questione della presunta laurea di Dario Fabbri è stata un argomento “dominante” – no, non è un semplice gioco di parole bensì un velato riferimento alla rivista geopolitica che dirige.
Il professor Riccardo Puglisi, saccente docente il quale, all’apparenza, che tuttavia non è per forza sostanza, nessuno studente vorrebbe avere come interrogante all’esame, ha combattuto una lunga battaglia su Twitter/X per sapere se Dario Fabbri sia laureato. Ha mandato PEC alla LUISS, che Fabbri ha frequentato, ha scritto a Enrico Mentana, ha retwittato tutti quelli che si sono interessati alla faccenda mossi da curiosità e gossip.
Alla fine, durante un’intervista alla rivista “Dissipatio”, Fabbri qualche giorno fa ha rivelato di aver abbandonato la facoltà di Scienze Politiche prima di concludere gli studi. Durante il botta e risposta, non sono mancante le spiegazioni a sostegno della sua scelta. Manca, però, un dettaglio: che senso avrebbe dichiararsi “dottore” nelle uscite pubbliche, se c’è una motivazione alla base dell’abbandono degli studi? Formalità, direbbero alcuni. Ma senza senso, proprio perché Fabbri merita il successo che ha avuto.
Intelligente e perspicace, è diventato un protagonista del dibattito geopolitico a partire dalla guerra in Ucraina, grazie anche alla spinta di Mentana. Prima ancora, era uno degli analisti di punta di Limes. Ha tenuto conferenze importanti, è intervenuto in trasmissioni autorevoli. Insomma, ha le carte in regola. Resta tuttavia la domanda: che senso ha millantare titoli e, soprattutto, tentare di insabbiare la nascente polemica montata ad arte da Puglisi?
Che, dal canto suo, al netto della spinosità della dialettica, se si analizza la sostanza del suo “lavoro social”, fa un’opera importante. Ovvero prova a smascherare l’apparenza di alcuni personaggi di punta del settore, lanciatissimi nel mainstream ma talvolta dai curricula misteriosi, nelle vesti di esperto del ruolo politico dei media e fact checker – interessante, a proposito, la posizione di Open, che nasce come giornale fact checker ma su Fabbri neppure una parola.
La questione, se non fosse perché coinvolge due individui noti al pubblico social e televisivo, e quindi è diventata un “caso”, avrebbe comunque un senso profondo. Cioè quello di provare che mistificare la realtà, a maggior ragione quando un titolo serve a poco in confronto alla preparazione mostrata sul campo, non ha alcun senso. Seduce, invece, tanti giovani verso una riflessione distorta sul mondo delle università: un percorso che serve a poco, se si riesce per altre vie.
Se fossimo in Puglisi, chiariremmo un ulteriore aspetto: anche se il cameriere al momento dell’ordine ti appella “dottò”, non sei legittimato a scriverlo sul curriculum.