“Penso che abbiamo perso tutti”, ha commentato Gino Cecchettin, papà di Giulia, a margine della sentenza che ha condannato Filippo Turetta alla pena dell’ergastolo. Un efferato femminicidio, commesso con barbarie, ai danni di una giovane ragazza che faticava, come tante alla sua età, a togliersi da una relazione tossica. La storia è nota a tutti. Con un tono di liberal-garantismo che molti potranno giudicare eccessivo, a vicenda conclusa crediamo sia opportuno riflettere sul senso del fine pena mai.
La sentenza che ha giudicato Turetta non è la gaia conclusione di una triste vicenda, ma il fallimento della società di diritto e democratica. Che senso ha l’ergastolo? Punire con massima violenza chi è stato massimamente violento verso gli altri? È “l’occhio per occhio” paradossale delle civiltà giuridiche moderne, che credono di pulirsi la coscienza e rassicurare la collettività segnando a vita la sorte di un reo. Incompatibile con la rieducazione, inumano per via delle condizioni di detenzione attuali, l’ergastolo è l’antico retaggio di una società punitiva, che alla riabilitazione preferiva dare l’esempio. Infliggere questa pena è come somministrare oppio in un’unica dose, direttamente al popolo, che si convince del fatto che “finalmente i cattivi vengono puniti”. Oppio, dunque, per i popoli che vengono solo illusi.
L’altra faccia della medaglia riguarda i casi, sempre più frequenti, di vittime donne, spesso giovani, incapaci di reagire di fronte a una violenza perpetrata nel tempo e nell’arco di una relazione. La violenza di genere è un fenomeno di cui oggi si parla molto, grazie alla società della comunicazione, e si sono fatti molti passi in avanti rispetto al passato, tempi in cui la violenza domestica rimaneva tra le mura di casa. Tuttavia, non è con le pene che si risolve il problema della violenza di genere. Figuriamoci se con pene senza fine. Lo strumento che migliora una situazione grave e attuale è solo uno: l’educazione. Che si esplica tramite canali più ampi, come la sensibilizzazione, l’educazione sentimentale fin da bambini, il rispetto, il buon esempio, la cultura. Laddove la donna oggi vive di disparità di accesso alle carriere nel mondo professionale, soffre nello stesso ambito i casi di maternità spesso strumentalizzata dai datori di lavoro, si sente in una condizione sociale impari rispetto all’uomo ancora percepito come genere dominante, la strada da percorrere è più lunga di quella di chi accorcia la via condannando, ma è l’unica che può curare una ferita del genere.
Nel 2013 una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che tale pena viola i diritti umani. Il termine “ergastolo” deriva dall’ergastulum, un campo di lavoro dove venivano destinati gli schiavi nell’antica Roma. Da lì, non c’era via di uscita. E oggi vogliamo ancora assecondare certi meccanismi? Suvvia, pensiamo, prima di opinare. In quanto pena eliminativa, l’ergastolo contrasta con i principali diritti inviolabili dell’uomo, nonché con l’essenza del principio personalista. Il sogno non è una società con le carceri vuote, ma una società i cui carcerati, una volta fuori, capiscano il senso della vita e si sentano rieducati.