Verba manent: Cecilia Sala è libera, tuttavia quali domande restano?

Tutto d’un tratto, ieri mattina, è arrivata la notizia che nessuno si aspettava in quel momento: Cecilia Sala è in volo verso Roma. Rilasciata dalla prigione di Evin, dove ha trascorso venti giorni in condizioni inumane, è stata fatta imbarcare a Teheran ed è sbarcata ieri pomeriggio a Ciampino. Se i prossimi anni non ci smentiranno, probabilmente questo sarà ricordato come il più grande successo del governo Meloni; un coniglio dal cilindro frutto di abile intelligence – tra le migliori al mondo, quella italiana – e diplomazia che hanno messo a tacere molte voci comprensibilmente rumorose. Anche noi, in queste pagine, la scorsa settimana, avevamo manifestato perplessità; senza dimenticare, però, che quando le diplomazie lavorano, lo fanno in silenzio. E a conti fatti vengono trasmesse le informazioni, come la liberazione di Cecilia Sala.

C’è da riflettere, tuttavia, su alcuni punti. In primo luogo il viaggio improvviso di Giorgia Meloni nei giorni scorsi negli USA. Si è detto che sarebbe partita per discutere degli investimenti in Starlink, la società di Elon Musk, che opera in ambito satellitare. Crediamo davvero che la presidente del Consiglio parta, senza avvisare i suoi, vada in America solo per parlare con Trump di una questione sì importante, ma che forse non merita così tanta urgenza? Siamo seri, suvvia. Il sistema politico-mediatico ha sapientemente strumentalizzato la faccenda per coprire, in itinere, il reale motivo della fuga di Giorgia Meloni: discutere della posizione degli USA sull’ingegnere iraniano Abedini, detenuto in Italia. Benché l’operazione do ut des non sia mai stata resa esplicita dall’Iran, a tutti sembrava chiaro quale fosse la posta in gioco. Il problema riguardava l’America, che ne chiedeva l’estradizione. Dopo il viaggio della Meloni, puff, il nodo si è sciolto e Cecilia Sala è stata liberata. Non ci mettiamo la mano sul fuoco, ma crediamo, col solo senso dell’intuito e senza alcun’altra informazione, che gli USA abbiano rinunciato all’estradizione per consentire ad Abedini di essere rimpatriato in Iran. Più che uno scambio di prigionieri, un favore degli americani, che volente o nolente ci salvano sempre il didietro. 

Grazie all’America, dunque. Ma resta un secondo tema, che è un interrogativo: già dai primi giorni di dicembre trapelavano indiscrezioni sul tutelare gli italiani all’estero, in particolare in Iran, perché l’ingegnere Abedini era stato arrestato a Malpensa e gli USA lo richiedevano. I colleghi di Formiche il 19 dicembre, giorno dell’arresto di Sala, scrivevano un articolo dal titolo: “La diplomazia degli ostaggi”. “Si teme che Teheran possa reagire prendendoli in ostaggio per mettere pressione all’Italia”, si leggeva. Cecilia Sala era in Iran, ed era una giornalista in vista, un nome caldo. Perché non si è fatto seguito all’allarme? Perché non si è badato alla possibilità che la Sala potesse essere utilizzata come strumento di ricatto?

Esultiamo per il ritorno della giornalista, ma poniamoci queste domande. Non basta gioire e voltare pagina, poiché la partita non si è chiusa con la sua liberazione. 

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