Verba manent: Berlusconi, l’eredità è riflettere

Esistono persone ed esistono personaggi. Questi non sono altro che l’evoluzione di persone particolarmente carismatiche, caratteri rari che riescono a farsi largo nella più vasta arena di competizione che esista al mondo: la società – e chiaramente la politica, che di essa è specchio. Le persone nascono, vivono, muoiono. Una massa indistinta di uomini e donne che talvolta emergono, talaltra no. I personaggi invece sono sempre in scena, con ammiratori e detrattori; dividono, perché la loro natura è esuberante, nel senso etimologico latino del termine: sovrabbondante. Idee, progetti, cambiamenti, cadute, innovazioni e ricadute. Silvio Berlusconi apparteneva senza dubbio a questa categoria. E infatti, anche dopo la sua morte, unendo molti intorno a sé, continua ciononostante a dividere.

Lutto nazionale, funerali di Stato, bandiere a mezz’asta, sessioni parlamentari sospese, università ribelli, dibattiti assolutori, discussioni condannatorie. Che senso ha parlare di tutto questo? Ogni eccesso sarebbe sbagliato e non renderebbe onore a un uomo che, tanto intelligente qual era, ben conosceva i suoi pregi e i suoi difetti. E avrebbe storto il naso difronte a cotanto piagnisteo e a cotanto livore. Perché le lacrime dei traditori, che oggi scorrono sui volti di chi in passato gli ha voltato le spalle, non sarebbero sopportate al pari delle offese dei balordi. Anzi, azzardiamo, sarebbero persino più sofferte. Berlusconi è stato contestato per una vita: da quando nessuno credeva che poco più che ventenne sarebbe riuscito a costruire una città da dove far nascere una televisione privata, fino agli ultimi mesi della sua vita, quando ha espresso idee tendenziose verso la causa russa nell’ambito del conflitto in corso. Gli hanno perfino lanciato un souvenir in viso, salvato, poi, da un pallavolista che si trovava lì nei paraggi, che ha buttato a terra l’aggressore evitando conseguenza peggiori. Sarà un caso, ma lo sport, in fondo in fondo, a Berlusconi ha sempre salvato la faccia. In tutti i sensi.

È stato altresì molto amato: il governo più lungo in carica nella storia della Repubblica è stato uno dei suoi, dopo l’ennesimo plebiscito alle urne – non grazie a strampalati accordi di palazzo. 

C’era una volta un partito diverso, Forza Italia, che prometteva una rivoluzione liberale, mai arrivata, ma che comunque ha salvato il Paese da un governo fatto di post comunisti e magistrati. I quali, messi all’angolo dall’esuberanza di Berlusconi, si sono dovuti accontentare di ruoli marginali negli anni a seguire. Da un decennio almeno quel partito non esiste più: c’è al suo posto un sauté di traditori, traditi, speranzosi, poche vecchie guardie e tanti personaggi ancora in cerca d’autore. È cambiata la società, certo, ma per uno come Berlusconi adattarsi non sarebbe stato un problema. La colpa è “loro”, come titolava un film di Sorrentino passato un po’ in sordina qualche anno fa, che l’hanno usato e poi consumato. Salvo poi rendersi conto che senza di “lui” e senza la struttura da lui diretta non sarebbero andati lontano. Così, lentamente, hanno fatto retromarcia; ma hanno distrutto un partito. Quando qualcuno ricorda che la magistratura ha smantellato Forza Italia, cari lettori, ricordategli che a prosciugare il contenitore è stato il contenuto, non i giudici. Quelli, semmai, hanno fiaccato l’uomo, ma il partito è stato indebolito da altri. 

Due giorni fa, nella prima edizione del Corriere della Sera dopo la morte, Massimo Gramellini ricordava come tutto fosse intorno a lui. Il calcio, l’economia, la cronaca rosa, quella giudiziaria, la politica, lo sport. Tutto ruotava intorno a Berlusconi ed era impossibile fuggirne. Era così perché il personaggio è un perno intorno al quale, grazie al quale, gira una ruota. Gira veloce, frena, si affossa, riparte, taglia il traguardo; metafora della vita di un personaggio, che è intensa, così come la sua morte è tale. 

Mancherà a tutti: ai suoi amici, che hanno perso una bussola, ai suoi nemici, che hanno perso un obiettivo. Alcuni giornali esistono grazie a lui, e non perché li abbia finanziati, ma perché senza Berlusconi non avrebbero avuto un nemico e non avrebbero venduto una singola copia. Alcuni magistrati, senza di lui, non avrebbero fatto carriera. Alcuni politici, senza di lui, non sarebbero dove sono o non sarebbero stati dove sono stati. Gli amici, in verità, quelli veri, sono coloro i quali ottengono di meno. A loro basta l’amicizia dell’uomo, non interessano le relazioni del personaggio. Gli amici, precisiamo nuovamente, quelli veri, saranno sempre meno dei nemici. Che rispecchiano appieno l’Italia media: condannare chi ha successo, abusare del successo qualora lo si ottiene.

Una soddisfazione, però, questa vicenda ce l’ha data: ci ha mostrato che c’è ancora un’Italia in grado di tributare gli onori a chi li merita. Tutto il resto è noioso, ripetitivo vaniloquio.

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