Nella pittoresca cornice di Palazzo Doria Pamphilj a Valmontone è aperta la mostra Microcosmi, una delle tappe di “Visioni di Paesaggio tra arte, scienza e letteratura”, rassegna che coinvolge i musei del sistema Museum Grand tour.
Il titolo, Microcosmo, rimanda all’idea sottesa alla nascita del palazzo stesso, luogo lontano dalla caotica mondanità di Roma, dove artisti e pittori esprimevano nelle più variate forme la loro idea del paesaggio con l’intento di edificare un vero e proprio tempio dell’arte, un museion nel suo significato primitivo. Il progetto di Camillo Pamphili, ideatore del palazzo, era quello di creare un microcosmo, appunto, che interagisse con l’ambiente circostante, non una monade impenetrabile ma organismo permeabile e ricettivo degli stimoli di un’arte barocca che a Roma si stava esprimendo con opere grandiose e sorprendenti. Il paesaggio diventa elemento principe delle volte affrescate. Gli elementi sono il soggetto delle prime quattro sale, completate dalla rappresentazione dei continenti che racchiudono il cuore del palazzo: il Salone del principe.
Da quest’idea di recettività nasce la mostra che si sviluppa al suo interno. Le prime due sale, volutamente spoglie, permettono al visitatore di entrare in punta di piedi, silenziosamente, in un luogo in cui il paesaggio secentesco si mischia e confonde con una visione moderna stesso. L’elemento acquatico dipinto da Guillame Cortoise con i suoi flutti che fuoriescono dalla cornice architettonica raggiungono idealmente le forme fluide e concitate dell’opera di Fusj. Il mare così realisticamente reso dal pittore francese con una tecnica pittorica vibrante è rappresentato in una dimensione atemporale e priva di ogni riferimento spaziale nell’opera di Chiara Arturo.
Passando nella stanza della Terra, il visitatore è accolto in una dimensione primigenia ed intima, di cui il Seme d’Arancia di Gros, con le sue forme affusolate e plastiche, ruvidamente sbozzate, è l’emblema.
Al termine di un percorso rettilineo che conduce il visitatore attraverso una sapiente diminuzione della luce si arriva all’opera del celebratissimo Bill Viola, Martyr of the Earth, simbolica nascita o ri-nascita dell’uomo dalla terra. L’istallazione multimediale sembra sospesa in un ambiente immerso nell’oscurità che diventa esso stesso luogo d’arte in cui lo spettatore è chiamato ad una dimensione intima ed introspettiva, facilitato dall’assenza di stimoli visivi e uditivi.
Rigenerato nell’oscurità il visitatore è investito da stimoli visivi ed uditivi nel luminoso e aeroso spazio del Salone del Principe in cui le opere della Paltinieri e di Farro sembrano essere eco materiale delle colonne che decorano le pareti. L’idea cinquecentesca di una stanza acusticamente perfetta dove deliziarsi con la musica in cui lo spazio architettonico è cornice dell’arte musicale, si evolve nella scenografica decorazione secentesca e ancora, si trasforma nell’opera di Farro in cui le canne, eco delle colonne dipinte, diventano esse stesse architettura musicale.
La mostra non è celebrazione di una visione esclusivamente occidentale della realtà come dimostra l’opera di Leki Dago che attraverso la fotografia restituisce l’immagine di un’Africa caleidoscopica in cui la t-shirt convive con lo shweshwe. Le opere, appartenenti ad artisti provenienti da tutto il mondo, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, sono volutamente esposte non in sintonia con le volte raffiguranti i continenti. Ne scaturisce l’immagine di un mondo globalizzato ed interconnesso, lontana dalla netta separazione secentesca da cui traspare un malcelato sentimento di superiorità intellettuale dell’Europa. Chiude la mostra l’istallazione di LU.PA, duo femminile che presenta la loro opera di debutto in cui il confine tra osservatore e artista sembra perdersi. Il visitatore si trova ad essere contemporaneamente attore e spettatore dell’opera, in cui il confine tra spazio reale e spazio artistico si annullano.
Dopo 19 anni, torna a Valmontone una mostra che entra con forza nel panorama artistico contemporaneo con l’esposizione di opere di artisti la cui validità è consacrata dalla loro presenza nel tempio dell’arte contemporanea, il MoMa di New York. Gli ideatori della mostra, Monica di Gregorio, direttrice del museo, e Antonio Trimani, artista e curatore hanno avuto la brillante intuizione di unire con un filo sottile l’arte secentesca e quella contemporanea, cogliendo il dispiegarsi materiale dell’idea astratta ed intangibile di storia dell’arte e riportando in vita la concezione, ormai perduta, del palazzo nobiliare come scrigno di opere d’arte. Quest’organica e diacronica visione è un unicum non soltanto nel panorama della provincia di Roma ma dell’intero territorio nazionale.
Un plauso va al comune di Valmontone che, con un salto nel buio, ha investito in una mostra che per sua natura sembra essere distante dai moderni interessi ma che, al contrario, è riuscita ad arrivare non esclusivamente ad un pubblico specialistico.