Per il Quirinale non traspare alcuna chiara convergenza tra i partiti, al netto delle formalità e delle triplici simultanee dichiarazioni di Conte, Speranza e Letta. Se nel centrodestra Berlusconi è tanto kingmaker quanto frutto della discordia, nonché candidato dalla difficile condivisione politica, da sinistra non trapela nulla. E così s’insinuano nel vortice delle dichiarazioni dei nomi scontati e improbabili, utili solo a sfamare il dibattito. In un quadro così burrascoso, fa capolino Mario Draghi che potrebbe mettere – più o meno – d’accordo tutti, aprendo, però, la strada verso una crisi dell’esecutivo. La sua eventuale elezione, tuttavia, dovrebbe essere immediata. Solo così si darebbe un segnale netto al Paese e alla comunità internazionale.
Sarebbe un peccato, infatti, arrivare oltre la quarta votazione e soltanto in seguito eleggere Draghi come presidente. Significherebbe che la politica, rispetto alle sfide incombenti e alla pandemia, antepone sempre e comunque la sua autoreferenzialità alla salute dello Stato. Ovvero la volontà di stipulare accordi sottobanco, rispondere ai veti dei partiti e mantenere le promesse in cambio delle quali, in precedenza, si è ottenuto qualcosa. Il principale ostacolo alla reputazione italiana nel mondo, in chiave elettorale/Quirinale, e alla prontezza dello Stato nel dimostrarsi reattivo verso i problemi è proprio la necessità della politica di rispondere solo a se stessa. Senza pensare in lungo, senza guardare in largo.
Proseguire nelle votazioni, addirittura fino alla doppia cifra, col fine di cercare disperatamente di far quadrare i conti su un candidato politico, e poi ripiegare su Draghi, sarebbe uno schiaffo alla carriera dell’ex Bce e un colpo morale alla collettività. Ciò, beninteso, non significa che l’attuale premier sia il miglior Presidente della Repubblica che la rosa di uomini e donne oggi propone per il Colle, bensì vuol dire che se si convergerà su di lui, occorrerà farlo senza indugio.
È evidente, poi, che il trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale sarebbe un unicum nella storia italiana. E aprirebbe una crisi di governo risolvibile in due modi: o con le elezioni, o con una figura di passaggio a guida dell’esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura. Essendo il primo punto, ovvero il “trasloco”, presupposto del secondo, cioè la crisi di governo, occorre valutare se tutti i partiti acconsentano. A preoccuparli, forse, sarebbe più la seconda eventualità nella previsione dell’urna: sono pronti al voto? Con quale legge elettorale? A sinistra sanno che, res sic stantibus, il centrodestra potrebbe avere la meglio, se non pasticcia tra sé e sé?
Già il fatto di essere giunti a due giorni dalla prima votazione senza un nome condiviso, in tempi di pandemia e recessione economica, è un segnale di incapacità grave. Per di più, eleggere un uomo sì stimato come Draghi alla stregua di un ripiego sarebbe fatale. Per la classe politica in primis, che da anni viene spodestata dalla tecnica, perché incapace di fare da sola. E soprattutto per la comunità nazionale e internazionale, la cui considerazione della politica italiana è già bassa.