Ucciso il leader di Hamas, Yahya Sinwar. Le reazioni dal mondo politico. Attesa per la nomina del suo successore. Oggi la premier in Libano

Morto il capo politico di Hamas: speranza del Governo per tentativi di distensione. Possibili scenari ed attesa per il successore di Sinwar. Crosetto condanna nuovamente l’escalation di Israele su Unifil. La Meloni fedele al disegno dei due popoli due stati ed oggi visita di Stato in Giordania e Libano. 

Non si placa l’escalation nella città dei cedri specialmente in seguito alla morte del leader di Hamas Yahya Sinwar, ricercato da almeno un anno, avvenuta ieri, 17 ottobre ed ucciso, come riportano fonti israeliane, per puro caso. Sinwar infatti, sarebbe stato colpito a morte in seguito ad una battaglia a fuoco mentre combatteva in uno scontro con i suoi compagni contro una pattuglia israeliana. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita e presenta molteplici colpi alla testa. Al momento del ritrovamento indossava un giubbetto antiproiettile ed aveva in mano un fucile ed alcune bombe oltre a documenti e soldi contanti. Ritrovato esanime in un bunker a Rafa, non è chiaro se al momento dell’uccisione stesse scacciando un drone o fosse addirittura in posa per diffondere le foto da distribuire ai suoi miliziani o stesse progettando, più probabilmente, il passaggio in Egitto. “Colui il quale si è reso responsabile della strage peggiore nella storia del nostro popolo dopo la Shoah – ha detto il premier Benjamin Netanyahu alla nazione – è stato eliminato. Hamas – ha aggiunto – non governerà più a Gaza. Questo è l’inizio del giorno dopo Hamas”. Ed ancora, in un discorso agli abitanti della Striscia di Gaza: “Sinwar vi ha rovinato la vita. Vi aveva detto di essere un leone, in realtà si era nascosto in una grotta oscura. È stato ucciso mentre fuggiva, spaventato di fronte ai nostri soldati”.  Ritenuto uno fra gli ideatori degli attacchi del 7 ottobre scorso, quando i miliziani di Hamas entrarono nel territorio israeliano uccidendo circa 1.200 persone, in gran parte civili israeliani, e prendendo circa 250 ostaggi, già nella notte di mercoledì 16 ottobre, l’edificio di Rafah in cui era rifugiato Sinwar era stato preso d’assalto con un tank dai militari israeliani che avevano notato movimenti di miliziani armati. Quando le immagini di un drone hanno riportato le riprese dei corpi di tre uomini, in uno è stato riconosciuto Yahya Sinwar. Gli esami del dna ne hanno poi confermato l’identità. 

Va da sé che la morte del leader di Hamas apre nuovi scenari nella guerra in Medio oriente: se da un lato Israele spera di sradicare completamente Hamas anche con l’aiuto di combattenti dei Paesi moderati, con Netanyahu che ribadisce come la sua strategia sia stata vincente: “Adesso è chiaro a tutti, in Israele e nel mondo perché ci siamo opposti a fermare la guerra. Perché abbiamo insistito” e parla di “Guerra di resurrezione” nazionale, dall’altra si avverte preoccupazione circa un possibile ulteriore irrigidimento nei confronti degli ostaggi. Ed ancora, se per Netanyahu “questa non è la fine della guerra a Gaza, è l’inizio della fine“, così come dichiarato in un video su Fb, Hezbollah annuncia “una transizione verso una nuova fase di escalation nel confronto con il nemico israeliano, che si rifletterà negli sviluppi e negli eventi dei prossimi giorni” e sostiene si stia aprendo una nuova fase della guerra contro Israele affermando di avere, per la prima volta, utilizzato missili a guida di precisione per colpire le truppe. E’ inoltre notizia appresa da fonti israeliane che poche ore fa che l’Idf avrebbe ucciso Hussein Awada, comandante del gruppo Hezbollah in un attacco aereo sulla città di Bint Jbeil, a sud del Libano. L’annuncio è stato seguito da un video diffuso dallo stesso Idf che riprende il momento dell’esplosione. 

Il governo sull’uccisione di Sinwar

Se il mondo arabo tace, tra sgomento e reticenza nel commentare la morte di Sinwar, la notizia rimbalzata sui media italiani e stranieri dà voce al presidente americano Joe Biden, che ha parlato di una “buona giornata per Israele, gli Stati Uniti e il mondo”, mentre la sua vice Kamala Harris ha parlato di “giustizia fatta”. Biden ha anche annunciato di voler parlare con Netanyahu su come poter giungere ad una conclusione del conflitto ora che Hamas è stata decapitata del suo leader politico di spicco. Anche il presidente francese Emmanuel Macron si è espresso al riguardo: “è il momento in cui Hamas deve liberare tutti gli ostaggi” mentre la premier Giorgia Meloni in una nota, d’accordo con il premier francese riguardo agli ostaggi, dichiara: “Con la morte di Yahya Sinwar viene meno il principale responsabile del massacro del 7 ottobre 2023. La mia convinzione è che ora si debba iniziare una nuova fase: è tempo che tutti gli ostaggi siano rilasciati, che si proclami un immediato cessate il fuoco e che si avvii la ricostruzione a Gaza“. Per la premier “ora si deve iniziare una fase nuova” dice, continuando a sostenere convintamente la soluzione dei due popoli due stati: “Continueremo a sostenere con determinazione ogni sforzo in questa direzione e per la ripresa di un processo politico serio e credibile, che conduca alla soluzione dei due Stati”. Questo mentre il Ministro degli esteri Tajani rafforza: “È il momento di un cessate il fuoco a Gaza”. D’altro canto un tregua a Gaza potrebbe effettivamente portare ad un allentamento in Libano, dove continuano le operazioni di terra e di mare da parte dell’Idf per indebolire Hezbollah. Gli ultimi attacchi a Tiro, nel sud del Paese. Ed ancora il Ministro della Difesa, Guido Crosetto che a seguito anche degli attacchi ai caschi blu Onu nelle sedi Unifil dei giorni scorsi ribadisce che: “L’imparzialità dei caschi blu è uno dei pilastri Unifil. O c’è Unifil o c’è la guerra”. Ribadendo che non ci sarà, come era nell’intento di israele, alcun passo indietro del contingente Onu: “Se rinunciassimo alla presenza dei soldati delle Nazioni Unite in quella zona del mondo oggi, rinunceremmo alla possibilità del mondo di risolvere in modo pacifico le controverse internazionali”, ha rafforzato. “Unifil non ha svolto il compito perché non poteva svolgerlo, per come sono state scritte le regole di ingaggio, non poteva perché le persone che sono andate lì sono andate pensando di dover svolgere il ruolo che svolgono in un altro ambiente, che non è più quello in cui si svolge, e perché l’altro pilastro che sono le forze armate libanesi sono cadute, distrutte dall’inflazione, dal problema economico. Un soldato ormai guadagna un venticinquesimo di quello che guadagnava. È come se un militare italiano continuasse a fare il militare guadagnando cento euro al mese. Ed avendo un’alternativa, c’è un’altra forza militare nel paese con capacità economica di reclutamento molto più alta. Questo è quello che sta succedendo in Libano. E questa cosa la possono risolvere soltanto due soggetti, Unifil e la comunità internazionale da una parte, la crescita delle forze libanesi dall’altra», ha spiegato ancora. Ed è attesa per oggi la missione di Giorgia Meloni in Medio oriente. La premier si recherà infatti in Libano per toccare tutti gli argomenti caldi al fine di promuovere la cessazione delle ostilità. Previsti gli incontri con il Re di Giordania, Abdallah ed il ministro libanese, Najib Mikati oltre che con il Presidente dell’Assemblea nazionale, Nabih Berri. Lunedì 21 ottobre sarà la volta del Ministro degli Esteri Tajani che si recherà in Israele e Palestina mentre anche il Ministro della Difesa Crosetto, dopo il G7 della Difesa a Napoli (dal 18 al 20 ottobre) andrà a Beirut e Tel Aviv. 

Dopo Sinwar: possibili scenari e nomina del successore

Come dopo ogni uccisione di un capo politico si resta in attesa della nomina del suo successore che, nel caso di Sinwar, come scrive Al Arabiya, “ha anche sollevato molti interrogativi sul futuro del movimento nel suo insieme e anche sul destino della guerra, poiché era considerato l’uomo più forte di Hamas e una figura influente sulle politiche del movimento nell’ultimo decennio e aveva forgiate le relazioni con l’Iran e con Hezbollah”. I dissidi interni ad Hamas pare siano stati provocati proprio dai legami con le milizie sciite libanesi e con i pasdaran iraniani. Ed è Al Aarabia che elenca i cinque possibili successori fra cui Khalil al Hayya, suo vice all’ufficio politico, che al momento guida la delegazione per i negoziati sotto mediazione internazionale per raggiungere una potenziale fine delle ostilità con Israele e gestisce inoltre gli incontri ufficiali del movimento all’estero. Oppure Khaled Meshaal, che attualmente è a capo del movimento Hamas all’estero e che negli anni fra 1996 al 2017 ha anche diretto l’ufficio politico del movimento – tra l’altro già ricercato dagli israeliani che tentarono di ucciderlo in Giordania. Altro probabile sostituto potrebbe essere Musa Abu Marzouk che dal 1992 al 1996 ha ricoperto l’incarico di capo dell’ufficio politico di Hamas ed è stato molto vicino ad Ismail Haniyeh, ucciso lo scorso 31 luglio a Teheran. Infine, Zaher Jabareen, che guida Hamas in Cisgiordania o ancora Muhammad Ismail Darwish, che tiene stretti rapporti con l’Iran ed è a capo del Consiglio della shura del movimento. In realtà resta fermo il nome di Mohammed Sinwar, fratello del numero uno, con visioni, se possibile, ancora più estreme e che al momento sembra aver assunto, non ufficialmente, il comando ad interim e detiene la gestione degli ostaggi.

Quali saranno le ripercussioni è presto per dirlo. Certamente la scomparsa di Sinwar, numero uno da anni di Hamas, contribuirà ad un momento di debolezza nel sistema del movimento, almeno, appunto, fino alla nomina del suo successore. In passato Hamas ha perso molti leader ma la resistenza si è velocemente riassestata. La differenza è che oggi Hamas ha perso territorio: la Striscia di Gaza è completamente distrutta con oltre 40 mila morti accertati dall’attacco del 7 ottobre scorso ad oggi. I raid continuano ancora nella Striscia, nonostante la guerra si sia spostata ormai nel sud del Libano: una guerra che nei giorni scorsi ha coinvolto anche i caschi blu Unifil e che resta in attesa della rappresaglia iraniana. Se da un lato ogni giorno l’Idf sottolinei di aver liquidato la maggior parte dei responsabili delle cinque Brigate, dei 24 Battaglioni e delle 140 compagnie che componevano lo schieramento iniziale neutralizzando di fatto le forze di Hamas, in realtà questi ultimi sembrano ritrovare nuove forze, tanto che gli israeliani sono tornati in zone ritenute bonificate. Un mistero dunque la loro reale estensione, sia fisica sia numerica, considerando l’utilizzo di tunnel e cunicoli che ne fanno perdere le tracce. Le prossime settimane saranno dunque determinanti nell’orientare le sorti di un conflitto che non accenna a diminuire ma che accende continue escalation e reazioni su larga scala. 

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