«Il carcere non deve essere lasciato solo. I danni cominciano quando la società esterna si dimentica di quel pezzettino di mattoni». È così che esordisce Susanna Marietti – coordinatrice dell’associazione Antigone – nella seconda giornata del Salone Internazionale del Libro durante l’incontro “Tutta la vita davanti… Come funziona il carcere per i minori”; a cui hanno presenziato, oltre a molti giovani ascoltatori, Patrizio Gonnella – presidente di Antigone –, il cardinale Matteo Maria Zuppi e la scrittrice Silvia Avallone.
Antigone è un’associazione fondata negli anni Ottanta con il proposito di tutelare i diritti del sistema penale e divulgare informazioni sulla realtà carceraria per la sensibilizzazione sociale. Il loro ultimo rapporto sulla giustizia minorile “Prospettive minori”, pubblicato a febbraio, ha evidenziato dei dati allarmanti rispetto a due anni fa. Il sistema, in passato modello a livello europeo, sta rinunciando sempre più ai principi basilari che lo hanno ispirato.
Ben quattordicimila ragazzi oggi si trovano presi in carico dalla giustizia minorile italiana, di cui 570 detenuti in carcere. In Italia sono presenti diciassette istituti penali minorili e circa 650 comunità. Grazie a queste ultime e alla possibilità di altre misure cautelari, come gli arresti domiciliari, l’utilizzo delle carceri è residuale; ma dai dati è comunque visibile un aumento sostanziale: qualche anno fa i ragazzi detenuti erano 350, il numero sta salendo di ben trenta ragazzi ogni mese. Eppure, la criminalità non è aumentata, piuttosto ha i suoi soliti zig-zag statistici.
Quindi, che cosa è cambiato negli ultimi anni? Probabilmente l’approccio culturale: c’è una maggiore rigidità che ha causato anche mutamenti nel sistema normativo. Si sta rinunciando a un approccio educativo in favore di un atteggiamento maggiormente punitivo e severo. È importante ricordare – come ha spiegato Silvia Avallone durante il suo intervento – che questi ragazzi vengono da situazioni familiari disagianti, in cui non c’è stato qualcuno che abbia creduto in loro e che li abbia semplicemente presi per mano.
«I ragazzi sono il futuro della nostra società. Come possiamo metterli dentro una stanza, chiuderli dentro e dimenticarci di loro?» dichiara ancora Susanna.
Buona parte di questi ragazzi sono stranieri non accompagnati. In passato, grazie a sistemi di accoglienza adeguati, la loro condizione non appena arrivati in Italia era meno drammatica. Oggi, stando per strada, per motivi di sopravvivenza è facile che commettano reati, anche solo per nutrirsi.
Inoltre, sono molti i ragazzi che entrano in carcere con una dipendenza, e spesso non si hanno gli strumenti per affrontare queste problematiche. Spesso una dipendenza viene quindi trasformata in un’altra dipendenza, ciò succede con gli psicofarmaci ad esempio.
Il cardinale Matteo Maria Zuppi invita a distinguere sempre il peccato dal peccatore: la persona che commette il reato non è il reato stesso, ma un individuo complesso con dentro luce e ombra. Per questo ha il diritto di essere accolta, tutelata ed educata. Questa massima dovrebbe essere la base culturale da cui ripartire per non avere più la percezione di carceri e carcerati come piccole isole in mezzo al mare, separate dal resto, ma piuttosto come componenti che vanno aiutate e sostenute anziché dimenticate.
La scrittrice Silvia Avallone ha raccontato poi la sua esperienza all’istituto penale minorile di Bologna, la quale ha ispirato il suo ultimo romanzo Cuore nero (Rizzoli, 2024).
«Se noi non incontriamo gli altri, non sappiamo chi siamo noi. Noi esistiamo soltanto insieme agli altri, quindi non possiamo essere indifferenti» afferma la Avallone.
In particolare, nella società odierna, macchinata dal potere, dall’apparenza e dalla solitudine, la scrittrice invita ancor più a incontrare gli altri e ascoltare le loro storie.
Molti dei ragazzi detenuti, racconta la scrittrice, lasciano la scuola presto perché nessuno ha detto loro che erano importanti, spesso sono nati in famiglie o quartieri sbagliati. Eppure, le sfortune possono essere il motore del riscatto.
«Se non hai fame, non sogni niente. Se non hai delle mancanze, non vuoi andare, non vuoi immaginare, non vuoi sognare, stai lì».
La scrittrice incita a non lasciarsi andare al proprio destino. Per farlo, per crescere e desiderare di più di quello che la sorte ha determinato, servono le parole, che permettono di parlare, raccontare e sognare, da lì inizia il cambiamento.
Per questo motivo la Avallone ha invitato i ragazzi del carcere a leggere, con la speranza di farli uscire dalla loro stretta condizione e poter immaginare la vita di qualcun altro, anche se solo per poche ore. In particolare, la scrittrice ha scelto di leggere loro Novembre di Pascoli.
«Ho assistito a una delle scene più belle della mia vita: delle persone che a un certo punto si accorgono, semplicemente perché qualcuno glielo dice, che c’è una bellezza che è qualcosa di più che stare al mondo, avere accesso alla libertà, all’arte e ai sogni eleva la vita, ti stacca da terra. E se tu hai queste parole belle, vuoi cose belle, sogni cose belle, allora puoi essere indipendente rispetto a una società che ci mette in prigione dentro gli stereotipi, dentro le dipendenze e dentro le carceri».
Di certo utilizzare dei metodi punitivi su dei giovani, ancora non formati in toto come individui, non fa che rafforzare degli ideali bassi e privi di sostegno reciproco. Un approccio culturale maggiormente rivolto all’educazione, all’integrazione, al confronto e alla parola creerebbe un ponte con le loro isole spesso dimenticate e la scuola potrebbe essere un buon punto di partenza.
Alcuni diritti fondamentali della dignità della persona dovrebbero essere sempre tutelati, al di là di ideali e schieramenti politici. Essi, infatti, sono il fondamento del nostro Stato. Si spera, dunque, che questi incontri, che pongono al centro questioni del sistema spesso taciute ed emarginate dalla quotidianità, possano sempre trovare spazio nel dibattito culturale, come è avvenuto a questo Salone Internazionale del Libro di Torino.
A cura di Alisia Cinellu