È disarmante quanto sia pervadente la sterilizzazione della lingua italiana nel parlato di tutti i giorni: una trasformazione a cui assistiamo attivamente per noia, moda o lavoro. Nessuno vuole farlo, eppure tutti lo fanno.
L’italiano, in sé, è una lingua complessa per chi ci guarda dall’esterno mentre l’inglese è molto più semplice e lineare. Basta osservare quante declinazioni ha in italiano la parola “happy”: lieto, soddisfatto, contento, fecondo, allegro, positivo, spensierato.
Ciò premesso, dobbiamo dire che il problema non è l’inglese ma l’inglesizzazione dell’italiano: basterebbe così poco da chiamare feed semplicemente bacheca, o advertising pubblicità. Ovviamente, non è certo piacevole limitarsi soprattutto in un mondo globalizzato, veloce, internazionale come il nostro ma quello di chiamare le cose con il loro nome, nella lingua in cui la chiamiamo, è un dovere morale nei confronti della stessa.
Assieme alla terra che abbiamo sotto ai piedi e le nostre radici culturali che ci scorrono, volente o nolente, nelle vene, la nostra lingua è e dovrebbe essere quasi sacra.
Ma non sacra nel termine specifico, ma sacra in quanto candida ed innocente. La lingua è giusto che abbia evoluzioni date dal contesto storico che rende il parlato aderente con i tempi circostanti, ma è un processo estremamente forzato e veloce che sta disintegrando anche la tecnologia principale con cui noi comunichiamo.
La trasformazione della lingua è una successione di fenomeni, molto più lenti di quello a cui stiamo assistendo, che la trasforma parzialmente, omettendo o inserendo caratteri e termini.
Una considerazione interessante è che ad oggi l’analfabetizzazione è una scelta. Il welfare e lo stato sociale permettono a tutti di avere una corretta istruzione fin da bambini, bene o male.
Quindi il problema non è esclusivamente nell’ambito scolastico, bensì nell’esempio che diamo nelle generazioni future proprio con il parlato.
I dialetti
Cosa ben differente – che poi riflettendoci neanche tanto – è il dialetto: esso nasce come tratto distintivo di una specifica porzione di cittadini in un loco definito. Ad esempio: a Bari e Barletta, per quanto vicini, i dialetti sono parecchio diversi anche solo dalle cadenze delle lettere.
Se vogliamo disegnare un’iperbole, paradossalmente, stiamo creando una lingua parallela all’italiano ma analfabetizzata, nazionale e trasversale da ceti sociali. Il progresso non è, di certo, sempre una cosa buona: basta notare la “Cancel Culture” con la distruzione di simbologie iconiche per la cultura autoctona dove si pratica l’ultima.
In un certo senso, il processo è simile ma autoindotto. Sappiamo tutti che questo è un processo irreversibile, che l’inglese in sé è una lingua come un’altra e metterla sotto il torchio della santa inquisizione è pressoché inutile, se non controproducente, ma ad oggi costringere la nostra morale a parlare un italiano sano può essere considerata alla stregua di una rivoluzione vera e propria.
Tutto vero. È’ disarmante. Se cominciasse la televisione? La scuola,ormai, con pochi valorosi , non riesce a farsi paladina..