Trump, dall’incontro con Netanyahu ad un nuovo auspicato – quanto surreale – ordine in Medio oriente passando per la seconda fase della tregua a Gaza alla conferma della tensione con l’Iran.
“Vedi cose che gli altri rifiutano di vedere”: così Benjamin Netanyahu rivolgendosi a Trump, sorridendo, nell’incontro di ieri, 4 febbraio, con il presidente degli Stati Uniti nel suo Studio ovale per discutere della seconda fase della tregua nella Striscia di Gaza, della ricostruzione post bellica e del futuro del popolo palestinese. Ha parlato di “long-termownership position” Trump, proponendo che gli Stati Uniti prendano il controllo ed il possesso a lungo termine della Striscia di Gaza per ricostruirla e trasformarla nella “Riviera del Medio Oriente”. “Ci vivrà la gente del mondo, penso che si possa trasformare in un posto internazionale, un posto incredibile”, ha detto Trump, una dichiarazione shock che ha destato scalpore fra i 150 giornalisti di tutto il mondo presenti all’incontro, con la proposta statunitense di un piano post bellico al di là di ogni aspettativa, che prevede il controllo della Striscia da parte di Washington e l’esclusione, quasi definitiva, del popolo palestinese – parliamo di circa due milioni di persone. Tutto questo mentre Israele ha ripreso i raid contro la Cisgiordania, con attacchi ai checkpoint ed alle sedi Onu e l’inizio della seconda fase della tregua a Gaza. Non solo: sul piatto anche lo stop dei fondi americani all’Unwra, dopo la sospensione decisa da Joe Biden, e l’uscita degli Stati Uniti dal Consiglio per i diritti umani dell’Onu, accusata da Trump di faziosità nei confronti di Israele.
L’incontro tra Netanyahu e Trump
Netanyahu è il primo leader straniero ricevuto da Trump da quando quest’ultimo è stato rieletto formalmente il 20 gennaio scorso, a simboleggiare il legame fra i due premier confermato anche dalla foto fra i due con dedica finale di Trump al suo “Bibi”. Il presidente israeliano ha definito “notevole” l’incontro con il tycoon, specialmente riferendosi alla dichiarazione di quest’ultimo rispetto alla possibile creazione di una “riviera” nella Striscia di Gaza con conseguente allontanamento dei circa 2 milioni di palestinesi, prospettiva che ha destato non poco scalpore fra i giornalisti presenti nello Studio ovale specialmente perché, stando a quanto riportato dal New York Times, le dichiarazioni di Trump non erano state precedute da alcun incontro con la sua amministrazione, tanto è vero che la sua portavoce, Karoline Leavitt, a seguito dell’incontro, è stata costretta a correggere il tiro, sia sull’eventualità dell’invio di truppe statunitensi nella Striscia, sia sull’investimento economico nella stessa per la ricostruzione da parte degli americani. Già, perché se Donald Trump ha promesso al suo amico Bibi nuovi trasferimenti per circa un miliardo di dollari in materiale bellico, sul tavolo c’è anche una nuova direttiva per reimporre la “massima pressione” sull’Iran.
L’annuncio di Trump di far uscire definitivamente i palestinesi dal territorio di Gaza sarebbe, secondo la portavoce, solo “temporaneo”, per avere cioè il tempo di ricostruire la Striscia ormai rasa al suolo: “In questo momento – precisa la portavoce della Casa Bianca – Gaza non è abitabile: è un cumulo di macerie senza acqua corrente o elettricità”. “Vogliamo ricostruire Gaza per i palestinesi e per le altre persone nella regione che vogliono la pace e lo sviluppo economico, in modo che sia un posto dove sarà possibile vivere in pace”, ha aggiunto. Ma nonostante il riallineamento cercato dalla portavoce del tycoon, il piano di Trump ha destato scalpore in tutto il mondo, in Europa, nell’Onu – che ha parlato di deportazione per i palestinesi – per l’Arabia Saudita – che non accenna ad allentare e normalizzare i suoi rapporti con Israele e che piuttosto aspira ad uno stato palestinese in cui Gaza sia parte integrante – ed anche e soprattutto in Iran, da cui è arrivata una categorica condanna da parte di Hamas. Trump ha chiesto ad Egitto e Cisgiordania di farso carico del popolo palestinese, ma i due Stati non sono assolutamente d’accordo nell’essere destabilizzati da una simile responsabilità.
La fase due della tregua
Un piano surreale dunque quello di Trump, che ha però preteso da Netanyahu una rassicurazione circa la rapida fine del conflitto nella Striscia, la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e l’avvio della normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita, questo mentre in Israele il partito di estrema destra, guidato da Ben Gvir minaccia il premier di uscire dal governo se andrà avanti con i negoziati, lo stesso ex ministro che, dall’altra, si dice pronto a tornare al governo con Netanyahu se quest’ultimo realizzerà punto per punto il piano di Trump, ovvero fare di Gaza la riviera del Medio Oriente. Secondo quanto riferiscono fonti informate, Trump offre il massimo appoggio all’alleato purché Netanyahu dia la sua garanzia di non riaprire le ostilità nella Striscia e di non far saltare il cessate il fuoco. Questo mentre continua l’offensiva delle forze israeliane in Cisgiordania iniziate il 21 gennaio scorso con l’obiettivo di smantellare i gruppi armati palestinesi attivi a Jenin, considerata da tempo un rifugio di militanti e con lo scopo generale dichiarato di sradicare la presenza di Hamas dai territori confinanti con lo Stato d’Israele.
Trump ed il “nuovo” delicato equilibrio con l’Iran
Alla vigilia dei colloqui con Netanyahu, il presidente Trump ha firmato una serie di ordini esecutivi che ritira gli Usa dal Consiglio Onu per i diritti umani e blocca i fondi all’Unrwa. Con questa mossa il tycoon fa uscire il suo Paese da una serie di organismi delle Nazioni Unite, tra cui il Consiglio per i diritti umani (Unhrc) e la principale agenzia di soccorso delle Nazioni Unite per i palestinesi (Unrwa), disponendo dunque di fatto, un’ampia revisione dei finanziamenti statunitensi per l’Onu. Il Tycoon ha anche firmato un ordine esecutivo per re-imporre la massima pressione sull’Iran, colpevole, secondo l’amministrazione americana, di aver tentato di uccidere Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali. L’Iran ha sempre rinviato al mittente le accuse ma Trump ha comunque deciso di inasprire l’attenzione su Teheran annunciando di aver: “lasciato ordine di annientare Iran se mi uccide”. Non solo: prima di incontrare Netanyahu, Trump ha anche annunciato il ripristino di dure sanzioni contro Teheran con lo scopo di azzerare l’esportazione di petrolio del Paese, così come aveva fatto durante il suo primo mandato, e di impedire che l’Iran possa dotarsi di un’arma nucleare essendo, secondo lui, ormai vicina alla realizzazione dell’arma atomica.
Se da un lato dunque la visita dello scorso 4 febbraio ha segnato il ripristino dell’asse israelo-statunitense, fortificandone le fondamenta, la visita di Netanyahu segnerà la politica estera Usa in Medio Oriente durante la presidenza Trump, muovendola su due assi, in realtà già delineati nel suo primo mandato: sostegno senza limiti a Israele e scontro totale – ancora – con Teheran.