Tra menzogna e verità: la complessità della vita umana in “Qualcuno di noi” di Pietro Grossi

“Era un’ennesima menzogna, al contrario però: si dissimulavano come al solito le apparenze, ma per nascondere una forza. Se avessimo trovato la saggezza e il coraggio di fare sempre così, forse la vita sarebbe davvero stata diversa”.

Al centro di Qualcuno di noi, romanzo di Pietro Grossi edito Mondadori, appare un elemento che potrebbe accomunare forse tutti noi, qualcosa che anche solo una volta nella vita abbiamo fatto: mentire, creare menzogne. Le prima pagine del romanzo che raccontano l’infanzia, ci fanno a tratti sorridere: ritorniamo inevitabilmente alla nostra di infanzia, quando la mattina ci inventavamo un mal di testa o un mal di pancia pur di rimanere a casa e non andare a scuola.

Tuttavia c’è un punto in cui queste menzogne tendono a diventare delle vere e proprie storie, dando vita a una forte immaginazione. Questo doppio personaggio inventa malanni che lo portano a subire degli interventi mostrando una forte convinzione dinanzi a tutti i medici. Poi all’improvviso muore un amico, anche quest’ultimo immaginario. Man mano che le bugie si fanno complesse, più cresce la sua capacità di convincere chi ha di fronte, così riceve la compassione da parte dei genitori, di insegnanti e di amici. Questo protagonista che tende a non identificarsi con alcun nome ma con un “noi” come se fosse doppio, come se accanto a sé avesse un gemello che lo seguisse. Ciò ci porta a riflettere su quanto complesso sia l’essere umano fino a non riuscire a identificarsi, soprattutto quando i nostri innumerevoli “io” entrano in conflitto tra di loro.


Ci ritroviamo così dinanzi a un protagonista senza identità e senza un posto fisso in cui vivere. Alla mancanza di tutto ciò si intreccia la molteplicità di luoghi e persone che si incontrano nel corso del romanzo. Si entra così in un vortice, in un racconto ampio con sviluppi anche contraddittori, emozioni contrastanti, un flusso inarrestabile di avvenimenti dalla tenera età, poi l’adolescenza e l’ingresso nel mondo degli adulti.

Ogni volta che si ha la sensazione di essere giunti a un punto fermo, tutto viene capovolto all’improvviso e si creano così intrecci su intrecci. E qui si comprende che l’intento di Pietro Grossi non è inventare delle storie, ma raccontare la vita di ognuno di noi. L’abisso, i dubbi, la pluralità di eventi che accadono anche nella stessa giornata – nel caso del protagonista si ha la pubblicazione del suo libro e la morte della nonna – le bugie, il sentirsi quasi sempre su un ciglio: è questa la vita vera che va raccontata. Dunque, da una parte l’invenzione ma dall’altra ad accomunarci è il combattere tra la vita vera e la vita immaginata, tra il vissuto e il sogno, tra l’accaduto e ciò che sarebbe potuto accadere. Ed è qui che si complica la vita umana, qui molto spesso ci perdiamo, nel gioco tra realtà e immaginazione: “il problema è che la realtà finisce per giocare a nascondino con il sogno, e fai fatica a distinguerla”.

Altro tema affrontato da Pietro Grossi è l’ingresso del mondo degli adulti e soprattutto del lavoro intrecciato alle passioni. Il protagonista, infatti, lega la sua capacità di immaginazione alla passione per la scrittura. Quest’ultima lo porta a trasferirsi da Firenze a Roma e poi Milano e poi c’è l’America. La scrittura sembra così dare senso all’inventiva delle menzogne, diventa il suo mezzo di espressione. Inizia per il protagonista la vita da fuorisede, l’ansia di trovare un casa, le serate nei locali romani, l’alcol, l’uso di droghe. E poi l’amore. E anche in quest’ultimo caso la storia con Giulia sembra essere sempre in bilico. La scoperta dei sentimenti e la paura che spesso ne deriva. E poi una gravidanza, il tema delicato dell’aborto e quanto lo sia per entrambi le parti. Desiderare un figlio insieme alla persona amata ma allo stesso tempo non essere pronti a vivere sotto lo stesso tetto. Unire il proprio vortice a quello della persona di cui si è innamorati. Avvicinarsi e allontanarsi. E poi una nuova gravidanza. E ancora si complica il vortice.

“È stato un anno un po’ duro, dicemmo, dopo aver preso un lungo respiro. A gennaio la mia fidanzata ha interrotto una gravidanza che io la pregavo di portare avanti. Mi sono rifugiato in campagna, sono sparito per qualche mese, non ho visto quasi nessuno. Quest’estate ho un po’ esagerato con bagordi e stravizi. Alcol, più che altro […]. E un mese e mezzo fa a uno dei miei migliori amici è stato diagnosticato un tumore al cervello. Poi è uscito il mio nuovo libro”.

 È come se durante il vortice e la frenesia della giovinezza d’improvviso il protagonista si ritrovasse schiantato – e il lettore con lui – nella vita adulta. E così quei drammi inventati durante l’infanzia, quei lutti e dolori fittizi, diventano realtà e sembra non esserci differenza tra il male immaginato e ciò che la vita ti presenta. Basti pensare alla tragedia del crollo delle Torri Gemelle avvenuto l’11 settembre 2001 che viene vissuto dal protagonista in quel momento a New York.

C’è una cosa che il protagonista ci insegna più di tutte. Nella moltitudine delle vicissitudini, quando non si sa più quale strada intraprendere, bisogna chiedere aiuto. Così egli si reca da uno psicologo e inizia un percorso di analisi.

“Quando uno ha una storia complicata con le menzogne, per qualche motivo finisce che non riesce più a dirle, e le volte che ci è costretto gli tocca limare da tutte le parti per addolcirsi il boccone”.

E infine ci insegna che le bugie hanno per davvero le gambe corte.

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