La decisione assunta lo scorso 5 ottobre dall’OPEC+ di tagliare la produzione di greggio ha generato a parità di domanda una contrazione dell’offerta mondiale del 2% (-2 mln barili al giorno), con conseguente aumento dei prezzi dei carburanti.
La decisione colpisce per due motivi: in primo luogo è stata presa in maniera compatta tanto dai membri storici del cartello OPEC, quanto da quei Paesi che pur non facendone parte si allineano volontariamente alle politiche di quest’ultimo, tra cui figurano tanto la Russia quanto alleati storici degli USA come Filippine e Messico. L’intera compagine è quindi definita “OPEC+”.
Secondariamente, il principale produttore OPEC, l’Arabia Saudita, ha motivato il taglio come reazione all’iperinflazione e all’aumento dei tassi d’interesse originato dalle politiche monetarie occidentali, spiazzando l’amministrazione Biden – che aveva cercato di dissuadere l’ondivago alleato – e lasciando intravedere nella mossa un’aperta ostilità alle politiche occidentali.
Ce’ da rilevare che i 2 mln di barili al giorno in meno sono poca cosa rispetto ai -3,6 mln al giorno che l’OPEC ha subito da agosto rispetto ai suoi obiettivi di produzione. L’origine “tecnica” è nelle sanzioni occidentali a Russia, Venezuela ed Iran, e cali di produzione in Nigeria e Angola.
Se a livello diplomatico la scelta si inserisce nell’aperto conflitto con la Russia, gli esiti sui mercati non hanno tardato a farsi avvertire con i rialzi delle quotazioni del petrolio.
Tra 7/10 e 10/10 il Brent è passato da 94,63$/barile a 97,74 (+3,29%), mentre il WTI da 88,68 a 89,20 (+0,59%). L’impennata si è verificata proprio nel fine settimana: all’annuncio del 5/10 i prezzi erano rispettivamente 92,35 per Brent e 86,84 per WTI. Si consideri che il Brent è lo standard di riferimento per il prezzo del greggio per l’Europa, epicentro della guerra per i mercati.
Anche i listini dei distributori al fai da te sono aumentati: il gasolio è tornato oltre gli 1,80€/l, sempre in proporzione di qualche centesimo sopra la benzina verde che è arrivata a 1,70€/l. Secondo rilevazioni di Quotidiano Energia, il prezzo medio nazionale fai da te per la verde è 1,69€/l (+2,05% vs 1,66 di venerdì), con picchi di 1,71 su alcuni marchi. I valori medi del diesel sono invece 1,84€/l (+4,55% vs 1,76 di venerdì).
Già dal 10 ottobre i distributori hanno iniziato ad aumentare i prezzi raccomandati: Eni +0,03€/l diesel, IP +0,03€/l diesel e verde, Q8 + 0,03€/l benzina, +0,04€/l diesel, Tamoil +0,04€/l diesel.
Il Governo italiano si era già mosso: il taglio accise su gasolio, benzina e GPL previsto dal Decreto Aiuti-ter è stato esteso dal 18/10 al 31/10 e si attende proroga per novembre. Fino ad allora il carburante costerà di più. L’aliquota IVA per gas autotrazione è calmierata al 5%.
Il Codacons lamenta il rincaro non solo per automobilisti, ma anche per la circolazione del traffico merci, che in Italia avviene su gomma per circa l’85% dei volumi scambiati, con effetto a catena per le vendite ad ingrosso e dettaglio.
La Casa Bianca ha definito la scelta dell’OPEC come “di limitate vedute” e si riserva di considerare l’utilizzo di riserve di barili da immettere sul mercato globale per aiutare i prezzi a calare. Un basso prezzo del carburante aiuterebbe il Presidente a rinsaldare il consenso interno e ad evitare che la Russia possa lucrare sull’export del proprio greggio. Si consideri che l’Arabia Saudita si è finora rifiutata di condannare l’aggressione russa in Ucraina.
In UE tengono banco due agende: da un lato gli incontri tra i ministri dell’energia per la creazione di una piattaforma comune per acquisto di gas e calmiere dei prezzi (eventuale proposta formalizzata il 25). Secondariamente, le contrastanti voci sulle aperture della Germania a nuovo debito dell’UE per contrastare la crisi energetica. Berlino stessa sta valutando intervento da 91 mld€ per ridurre i prezzi del gas tra 30% e 60% vs mercato.
Intanto i titoli di multi-utility italiane hanno registrato cali tra 10 ed 11/10: Eni (-1,80%), Enel (-2,70%), Snam (-1,49%), A2a (-1,12%), Italgas (-0,38%).