“Fantomologia” e “Intelletronica” sembrano parole uscite da un romanzo di fantascienza. E potrebbero benissimo esserlo, visto che Summa Technologiae è il prodotto di uno dei padri della sci-fi contemporanea. Tuttavia, non si tratta né delle finzioni dello Stanisław Lem romanziere, quello consacrato da Solaris, né di una “semplice” raccolta di scritti scientifici. Nelle parole di Diego Salvadori (ricercatore in Letterature Comparate all’Università degli Studi di Firenze), la Summa è opera di uno “scrittore plurale”, di un saggista-narratore che dà vita a un “testo sorgivo: che si svuota e si riempie, come le sorgenti”.
È dello stesso “parere plurale” Luigi Marinelli, traduttore e curatore della versione italiana di Summa Technologiae per Luiss University Press; cionondimeno, nella sua presentazione a Testo 2024, ne evidenzia anche l’aspetto unitario, organismico. Certo, come scrive nella prefazione, “l’elemento poetico (e per il lettore fortemente poietico) della Summa lemiana scaturisce anche da questa possibilità di leggerla ‘spazialmente’ e, per così dire, ‘a caso’”. Ma il fatto che l’opera si presti a un approccio random non ne adombra la coerenza di fondo; al contrario, la rende talmente centrata (e centrale) nella produzione di Lem da gettare luce perfino su scritti anteriori e posteriori alla Summa stessa – e non solo i saggi: vale anche per la narrativa, Solaris incluso.
La chiarezza, però, non è la cifra significativa di quest’opera-mondo. E come potrebbe, visto che si parla di futuro? L’ignoto per eccellenza, il campo in cui, per quanto ci si sforzi, non ci si può che rimettere al principio d’indeterminazione? Ma forse è proprio questo a rendere il tutto affascinante. Come la Summa, del resto, quando invita il lettore a partecipare a una lunga serie di esperimenti mentali per far fronte alla non-chiarezza (ovvero alla complessità) della vita. Lo ricorda il filosofo Francesco D’Isa, quando riconosce in Lem il pioniere di alcune importanti speculazioni attuali, soprattutto fra i lungotermisti della Silicon Valley, sempre più interessati alla “sociologia cibernetica” della vita quotidiana, lemianamente parlando.
È anche vero che ci sono esperimenti mentali più verosimili di altri – l’autore stesso non ne fa mistero nel corso dell’opera. Al contempo, però, ammette che la conoscenza si nutre proprio di un giocare con la fantasia, perfino quando ci si spinge troppo in là. D’Isa, in merito, riporta uno stralcio della Summa che segue proprio uno dei voli pindarici più estremi: “È totalmente, ma assolutamente e per sempre, impossibile? Forse sì, ma di sicuro è interessante”. E questo “interessante” può fare tutta la differenza, come credeva anche Nolan Bushnell, fondatore di Atari, quando affermava che “la fantascienza ha una caratteristica: prima o poi, si realizza”.
Basti pensare ai “lemmi di Lem” da cui sono partito (“Fantomatica” e “Intellettronica”): come ricorda Salvadori, nelle ultime settimane è stato attivato Telepathy, il primo microchip cerebrale targato Neuralink; per non parlare del dibattito sull’uso non regolamentato dell’A.I. in materia di armamenti. Evoluzioni tecnologiche, queste, che, pur avvalorando la capacità visionaria dell’intelletto umano, aprono la strada a scenari ben meno ottimistici di quelli del Lem della Summa; lo spiega Marinelli, quando rivela che gli ultimi anni dello scrittore polacco sono stati all’insegna di un pessimismo cosmico e di un umanismo misantropico – e come dargli torto, proprio oggi, a due anni dall’invasione russa dell’Ucraina?
Ma Summa Technologiae non è il Libro della Rivelazione: la sua capacità predittiva, pure ammirevole, è solo “umana troppo umana”. Come afferma D’Isa, il lettore non deve aspettarsi un’apologia della tecnica in qualità di arma finale (che può esploderci in faccia) contro le forze della natura: negli anni ’60, per quanto ottimista, Lem era pur sempre un “pessimista scettico”, non già cosmico, in equilibrio fra i risvolti tecnofilici e tecnofobici dello sviluppo culturale umano; si sente ancora la sua ricerca di armonia, non del tutto sbilanciata a favore di una “requisitoria della hybris”, nelle parole di Salvadori, ma impegnata a integrare aspetti contrastanti di una realtà complessa. E la sua ricerca si traduce in un’opera che è mimesis (imitazione) della realtà stessa – non solo nei contenuti: il linguaggio adottato da Lem, ricco di ipotassi e neologismi, è un labirinto nel labirinto, perfino per il traduttore.
Insomma, il futuro, sebbene (o proprio perché) ammantato di mistero, esercita un’attrazione fatale per noi esseri umani; il che lo rende il motore principale dell’evoluzione tecnica di ogni civiltà. Se il lettore della Summa si abbandonerà alla “pulsione di conoscenza”, per dirla con Jung, proverà questo brivido della scoperta; non tanto per la certezza di quel che troverà, ma poiché vedrà prendere forma mondi possibili – non tutti desiderabili, alcuni francamente orribili –, capaci di suscitare una sorta di timore reverenziale per quel “costruttore cieco” che è la natura. Un demiurgo che progredisce a caso, grazie a tempi e materiali da costruzione virtualmente illimitati; “un meccanismo stupido – ricorda D’Isa –, ma che sta sempre un gradino sopra”. Dopotutto, come scrive umilmente il futurologo Lem, la natura parla la “lingua che crea i filosofi, mentre la nostra crea solo le filosofie”.