In partnership con l’APS Lapaginabianca.docx e con la Sezione di Roma Ente Nazionale Protezione Animali
Lo ripete spesso Yusuf, durante la nostra passeggiata: «Questo posto allontana i sentimenti brutti». Lo dice la prima volta mentre è appoggiato ad un parapetto di legno che ha creato lui con le sue mani, usando solo materiali di scarto. Ci tiene a rimarcarlo: «Qui ho usato solo materiali di scarto come dei pezzi di ferrovia, pietre, sassi, canne di bambù e legno».
Siamo alla fine del lungotevere Testaccio, sulla sponda del Tevere ombreggiata dal ponte San Paolo che, però, per i romani rimane il ponte della ferrovia da cui è possibile vedere il Colosseo di ferro o per i non addetti, il Gazometro.
È una Roma d’altri tempi, come quella che ci racconta Romano, nomen omen. Settant’anni vissuti un po’ in tutto il mondo e un po’ nella sua capitale. Lui che da ragazzo si faceva il bagno nel Tevere, oggi lo troviamo seduto su una panchina, all’ombra di un grande albero. Il suo cane è lì che in modalità zen si riposa.
«Questo era un posto totalmente abbandonato: dovevi fare l’impossibile per passare sotto al ponte, non si camminava. Appena giunti nove anni fa ‘sti ragazzetti l’hanno trasformato nel posto che vedi oggi. Hanno tolto quintali di lamiere, sporcizia, persino frigoriferi e motorini. Ho visto con i miei occhi il trasformarsi di questo posto. Io ci sono affezionato e grazie a loro sto rivivendo quello che per me era il luogo dell’infanzia».
‘Sti regazzetti, presi a cuore da Romano, sono una piccola comunità curda guidata da Yusuf che, in pochi anni, ha «restituito uno spazio alle persone che possono apprezzare questa sponda di Tevere» ci spiega Maurilia Amoroso, responsabile dell’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) di Roma.
«Per Testaccio ma anche per tutta Roma, questo luogo sta diventando un punto di contatto con gli animali. Questa colonia felina è nata senza assolutamente scopo di lucro e senza che nessuno glielo abbia chiesto. È stato grazie alla volontà di Yusuf e dei suoi amici che, giorno dopo giorno, sono state costruite cucce, casette e spazi per quei gatti che prima vivevano in condizioni di degrado».
Mentre passeggiamo sembra impensabile immaginare che qui prima non si potesse camminare tra la sporcizia e la folta vegetazione. Oggi è uno spazio che a Roma è raro trovare. Vi sono dei secchi per raccogliere l’acqua piovana, delle panchine e dei tavoli in legno, dei fiori piantati dopo essere stati recuperati dai rifiuti, delle scale, tutto quanto creato da Yusuf e i suoi amici. È insaziabile per quanta voglia ha di creare, dopo aver guardato il gazebo che ha costruito con le sue mani pensa sarebbe bello poterci stampare delle foto per far vedere il prima e il dopo. Vorrebbe anche costruire una libreria per dare modo ai visitatori di fermarsi e leggere. Tutto ovviamente con il suo amato legno, perché di plastica non vuole neanche sentirne parlare.
Ad un tratto vediamo dei turisti americani passare sulla rampa costruita a mano e pensiamo che, fino a poco tempo fa, per loro sarebbe stato inimmaginabile percorrere quella via senza incappare in qualche rifiuto figuriamoci fermarsi a fare un picnic.
Alla fine chiedo a Yusuf cosa pensa del futuro ma non lo vede con molto entusiasmo. Romano, seduto accanto a lui, dice che ha paura. Paura che questo posto gli venga portato via. Paura che se ne approfittino. Paura che qualcuno lo trasformi per il solo guadagno. Paura che torni ad essere inaccessibile.
Lui che ha costruito tutto questo per i suoi figli, per la sua famiglia, per i suoi amici, per i suoi animali, per la città che l’ha accolto, vuole solo «tenere lontano i sentimenti brutti» e renderlo unicamente «il posto felice per tutti».
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