Lunedì 21 ottobre, il Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha incontrato a Tel Aviv il premier israeliano Benjamin Netanyahu, in un momento di massima tensione nel conflitto tra Israele e Hamas. Il viaggio di Tajani, nel pieno di una crisi internazionale che rischia di estendersi ben oltre i confini di Gaza, aveva un obiettivo ambizioso: ribadire il ruolo dell‘Italia come mediatore diplomatico, ma anche proteggere i propri interessi nazionali, in particolare la sicurezza del contingente italiano in Libano. Tuttavia, l’incontro ha evidenziato non solo le complessità diplomatiche, ma anche il difficile bilanciamento che l’Italia deve mantenere tra alleanze strategiche e istanze morali.
Il doppio filo della difesa israeliana e della diplomazia italiana
Da una parte, Netanyahu ha ribadito la necessità di difendere Israele, soprattutto alla luce degli attacchi devastanti subiti il 7 ottobre, che hanno scosso il paese come poche volte nella sua storia recente.
Per Netanyahu, la guerra contro Hamas non è una scelta, ma una questione di sopravvivenza nazionale. Questo ha portato il premier a scartare, almeno per il momento, qualsiasi discorso di moderazione militare. La strategia di Netanyahu si fonda sulla certezza che, finché Hamas avrà un’influenza significativa a Gaza, Israele non potrà mai sentirsi veramente sicuro.
Dall’altra parte, Tajani ha provato a tracciare una linea di moderazione. Ha riaffermato che Israele ha il diritto di difendersi, ma ha anche sottolineato la necessità di evitare un’escalation che potrebbe trasformare il conflitto in una catastrofe regionale. Le parole del ministro, sebbene diplomaticamente equilibrate, suonano come una richiesta di freno a mano in una macchina che sfreccia a tutta velocità verso il precipizio: “Non possiamo permettere che la guerra diventi un abisso senza fondo”, ha dichiarato Tajani, evidenziando i rischi per la stabilità regionale e per i paesi limitrofi, in particolare il Libano.
Il dilemma libanese e la missione UNIFIL
L’incontro ha avuto anche un significato particolare per il contingente italiano in Libano, parte della missione di pace UNIFIL, che opera da anni per mantenere una fragile tregua lungo il confine tra Israele e Libano. Il rischio di un coinvolgimento diretto del Libano nel conflitto si fa sempre più concreto, con Hezbollah che continua a lanciare minacce e incursioni. Netanyahu ha ribadito l’intenzione di Israele di distruggere le postazioni di Hezbollah e creare una zona di sicurezza lungo il fiume Litani, spingendo le milizie sciite sempre più a nord. In questo contesto, Tajani ha espresso preoccupazione per la sicurezza del contingente italiano, sottolineando che eventuali attacchi contro i soldati UNIFIL non saranno tollerati.
Tajani, durante l’incontro, ha rassicurato Netanyahu che l’Italia continuerà a mantenere il suo impegno in Libano, ma ha anche avvertito che un’ulteriore escalation potrebbe spingere Roma a riconsiderare la propria presenza militare. I soldati italiani, protetti all’interno delle basi dell’ONU, restano sotto il costante pericolo di attacchi, e la decisione di proseguire la missione dipenderà dall’evoluzione della situazione. Tajani ha confermato di aver avviato una serie di consultazioni con il Segretario Generale delle Nazioni Unite per garantire che la missione continui solo se in condizioni di sicurezza adeguate.
Le richieste di moderazione e l’indifferenza diplomatica di Israele
Sul fronte delle richieste italiane, Tajani ha chiesto espressamente a Netanyahu di evitare gli errori di Gaza: bombardamenti indiscriminati e vittime civili. Ma le richieste italiane sembrano aver trovato orecchie sorde a Gerusalemme. Netanyahu ha ribadito che la priorità per Israele rimane eliminare Hezbollah e Hamas, due organizzazioni che rappresentano, agli occhi di Israele, un pericolo esistenziale. La diplomazia italiana, pur mantenendo una posizione formalmente equilibrata, sembra costretta a muoversi in una realtà in cui le decisioni più importanti vengono prese altrove, principalmente a Washington e Gerusalemme.
Le implicazioni per l’Italia e il futuro della politica estera
L’incontro tra Tajani e Netanyahu getta luce sulle sfide della politica estera italiana in un contesto mediorientale in continua evoluzione. L’Italia, membro della NATO e partner strategico di Israele, si trova in una posizione delicata: da una parte, deve mantenere buone relazioni con Israele, un alleato chiave nella regione; dall’altra, deve rispondere alle crescenti pressioni internazionali e interne per una posizione più critica verso la gestione della guerra da parte di Netanyahu, specialmente di fronte alle immagini di devastazione che provengono da Gaza. Inoltre, con il crescente rischio di un conflitto su larga scala che coinvolga anche il Libano, Roma potrebbe trovarsi costretta a fare delle scelte difficili riguardo al proprio impegno in Medio Oriente.
In definitiva, sebbene Tajani abbia ribadito l’impegno dell’Italia per la pace e per la stabilità della regione, appare chiaro che le leve diplomatiche a disposizione di Roma sono limitate. Il governo italiano potrà continuare a esercitare pressioni diplomatiche, a collaborare con partner europei e statunitensi, ma difficilmente sarà in grado di influenzare in maniera decisiva le dinamiche del conflitto. E mentre i cannoni continuano a tuonare, la fune su cui cammina l’Italia in Medio Oriente diventa sempre più sottile.