Delle proteste che stanno avvenendo a seguito del DPCM di domenica 25 ottobre 2020, e che stanno coinvolgendo l’Italia da nord a sud, si sta facendo un gran parlare e come accade spesso, la facile o per meglio dire la fallace interpretazione è dietro l’angolo. Spesso, infatti, si entra in contatto solo con una parte del problema, complice un becero riduzionismo che si può trovare tanto nei giornali mainstream quanto in quelli che, volendo utilizzare un ossimoro, si possono definire underground.
La protesta da parte delle categorie colpite è giusta e su questo c’è poco da discutere, purtroppo le violenze esplose erano quasi inevitabili, figlie di una tensione sociale perpetrata negli ultimi mesi dalla situazione senza precedenti che il mondo sta vivendo, alimentata dalla disinformazione reperibile facilmente nel web e dallo psico-terrorismo propinato dall’informazione mainstream. A questo, inoltre, bisogna aggiungere quella che ormai assomiglia ad una gara fra prime donne, rappresentata dai vari virologi che, da mesi, rilasciano interviste con dichiarazioni spesso in contradizione fra loro, che non fanno altro che alimentare confusione e diffidenza verso la comunità scientifica tanto che, sulla lunga scia anti-scientista degli ultimi anni, la scienza viene vista alla stregua di una alchimia.
Detto ciò, di quale riduzionismo si sta parlando ?
Da una parte si hanno gli organi di informazione ufficiali, rappresentati principalmente da giornali, dove si demonizza la protesta minimizzandone il motivo. Allora, ci si può imbattere in articoli che addossano la protesta solo a frange violente appartenenti alle più disparate categorie (ultras, movimenti politici di estrema destra o di estrema sinistra, mafie e organizzazioni di vario genere), questo tipo di riduzionismo è utile per indirizzare il discorso all’interno di un campo di assoggettamento del lettore, niente di orwelliano in realtà, ma il lettore che legge una notizia del tipo “mafia coinvolta nelle proteste” sarà meno incline a simpatizzare per i protestanti poiché avrà una decontestualizzazione del fatto in atto. Si va, dunque, a “uccidere” il motivo della protesta, applicando una vera e propria strumentalizzazione, in modo che l’attenzione venga spostata dalle richieste del manifestante ai danni provocati.
C’è anche, però, il rovescio della medaglia. Infatti, dall’altra parte troviamo tutti quegli organi di informazione che ad inizio articolo abbiamo definito underground. Essi si occupano di un tipo di riduzionismo differente, ovvero idolatrano la protesta elevandola a rivolta del popolo, presentandola come il solo frutto di una volontà della rabbia operaia, ignorando che, come spesso accade, in proteste che rischiano di diventare guerriglia ci sia una frangia violenta con collocazioni disparate all’interno della politica o, semplicemente, di gruppi organizzati, che sfrutta la giusta rabbia popolare per scopi sovversivi. Di questi esempi ne è piena la storiografia: dalle proteste del G8 di Genova passando per i No Tav, fino ad arrivare alle più recenti Black lives matter.
In ogni manifestazione che avviene per giusti motivi e nel rispetto del diritto dei popoli di manifestare il proprio dissenso, purtroppo, interviene anche una violenza irrazionale, che spesso va a danneggiare la stessa protesta, portandola ad interpretazioni fuorvianti da parte degli organi competenti e da parte della popolazione estranea alle proteste.
Bisogna, dunque, evitare un facile riduzionismo non solo da parte dell’organo informatore, ma anche da parte dell’organo informato, andando a scovare la complessità del gesto che risiede, prima nelle cause sociali e poi in quelle organizzative – attuative, a cui si aggiunge la cecità delle istituzioni, e sicuramente un certo grado di difficoltà nell’affrontare l’evento.
Il riduzionismo genera, inoltre, un altro grande problema. Esso non fa altro che alimentare la fiamma dell’odio popolare sia verso lo Stato, vissuto come assente e come oppressore, sia fra il popolo stesso, tramutando i cittadini in individui al limite del solipsismo, mettendoli in questo modo gli uni contro gli altri, realizzando una guerra del tutto immaginaria fra buoni e cattivi.