Un corteo di fiaccole si radunerà stasera in p.zza Vittorio Veneto a Palermo e attraverserà via Libertà per arrivare a via D’Amelio, dove verrà intonato l’inno nazionale durante la cerimonia di deposizione del tricolore.
Il silenzio, anche quest’anno, sarà l’ossigeno per queste fiaccole che agiteranno gli animi non solo dei siciliani che prenderanno parte alla 28a edizione di quest’iniziativa promossa dal “Forum XIX luglio” e “Comunità ‘92”, ma anche di tutti gli italiani mutilati ancora oggi dell’idea di giustizia.
A 32 anni che trascorrono proprio oggi dal 19 luglio 1992, da un evento che ha sollevato oltre l’asfalto fuso in aria anche le vite di uomini di Stato dall’afosa gravità terrena, l’immagine della morte di Paolo Borsellino ha raggiunto una vivida cromia quasi pittorica insieme a quella di Giovanni Falcone, all’interno di aree di contorno tuttora evanescenti.
Così come dalla morte dei santi il nostro Cattolicesimo ha ricavato una industriosa tradizione oleografica martiriale, sembra riproporsi oggi dagli anni immediatamente successivi alle stragi del ’92 la stessa stampa iconografica del “martirio di Stato”. Celebrazioni e commemorazioni pubbliche sulla strage di Capaci e di via D’Amelio si sono replicate con certo fervore negli ultimi anni in Italia tale da mostrare davanti al balcone europeo uno striscione dal grande afflato lirico e senso civico verso delle macchie più nere di cui la nostra penisola s’è mai tinta nella storia.
La mafia, per chiunque gliene venga chiesto tra gli italiani, appare almeno oggi, in una battaglia che si definirebbe secolare nella nostra penisola per demistificarne la sua etichetta di ‘suggestione politica’, il vero e inequivocabile committente della infinita serie di omicidi e stragi che hanno sia preceduto quelle dei due magistrati, sia perpetrato dopo di esse lo stragismo in via sotterranea e meno teatrale. Tuttavia si deve registrare anche un altro fenomeno che interessa ancora i nostri giorni, e che si sta sempre più sublimando, quale il sillogismo dell’‘omicidio di stato’ con il delitto mafioso.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in altre parole, continuerebbero sì ad essere i simboli della giustizia e della lotta alle mafie, della resistenza ai soprusi del potere parastatale e di resilienza agli oneri dell’esistenza, ma soprattutto sarebbero tutt’oggi l’ipotenusa di un triangolo, o cupola mafiosa, che tale si rivela solo se premessa la sua funzione complementare.
La mafia verrebbe a delinearsi nell’opinione pubblica odierna solo in funzione del simbolo eroico che i due ci hanno lasciato a paradigma, ovvero potrebbe esistere la mafia in tempi così moderni solo se gli occhi della società contemporanea vedessero un nuovo martirio di stato, altri magistrati uccisi in un’altra, e nuova, strage come quella di via D’Amelio.
Alla tendenza generale di concepire in questi termini, specie nelle fasce più giovani del nostro collettivo, le vicende per cui lo stesso Borsellino è morto cercando di lasciarcene una più chiara e scaltra comprensione, paradossalmente più di quanto già le stragi avrebbero fatto, corrisponde il flemmatico senso civico delle nostre manifestazioni commemorative che si concludono nella verosimile recita d’un festival medievale.
Ciò che i cadaveri degli agenti della scorta e dei magistrati uccisi dall’espiatoria ‘Cosa Nostra’ avrebbero voluto incidere sulla pietra del foro italiano, non era una semplice epigrafe commemorativa, quanto una ricetta costitutiva delle coscienze. Lo esprime proprio la frase che è riportata sugli striscioni della fiaccolata di Palermo: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.
Ma finchè rimarrà scritta su quegli striscioni e non nella mente dei cittadini cui l’esempio di Borsellino voleva rivolgersi, la mafia continuerà ad essere la nostra ‘complice memoria’.