L’episodio che inaugurò il decennio stragista degli anni di Piombo viene ricordato ancora oggi come uno dei più dolorosi della storia del nostro Paese.
Venerdì 12 dicembre 1969, ore 16:37. Una banca in pieno centro a Milano, la Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, diventa la triste protagonista di una delle stragi più sanguinarie a cui l’Italia abbia mai dovuto assistere. Uno scenario da guerra creato dall’esplosione di una bomba con 7 chili di tritolo e nascosta in una borsa posizionata strategicamente nell’immenso salone sotto il tetto a cupola.
17 morti, tra cui 13 morti sul colpo senza dover subire ulteriori atroci sofferenze e 87 feriti sarà il bilancio finale. Urla, detriti e sirene che allarmano l’intera città, preoccupata per l’accaduto. Nessuno, però, ancora immaginava che quell’evento sarebbe stato solo il preludio di uno dei decenni più sanguinari della storia italiana.
Iniziano così gli Anni di Piombo, complici di una generazione che imbraccia bombe e fucili alla ricerca di una propria identità politica. Questa, però, è un’altra storia.
La strage di Piazza Fontana ha decretato l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”, alimentata in seguito da altri attentati come quello di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, del treno Italicus del 4 agosto del medesimo anno e la più sanguinaria ed imperdonabile strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Quello stesso giorno in Italia si susseguirono altri attentati, sventati poco prima dell’esplosione delle bombe. Uno presso la sede milanese a Piazza della Scala della Banca Commerciale Italiana ed altri tre a Roma, precisamente nel passaggio sotterraneo della Banca Nazionale del Lavoro, all’Altare della Patria e presso il Museo Centrale del Risorgimento a Piazza Venezia. Nella Capitale si evitarono ulteriori morti ma non i feriti, ben 16.
A distanza di 51 anni, l’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana è colmo di vuoti giudiziari. Inizialmente orientati verso gruppi di estrema destra, gli inquirenti in seguito inizieranno ad intraprendere la pista anarchica, quella più plausibile e concreta ad aver agito nella strage. Vengono fermate ed interrogati circa 80 possibili attentatori di stampo anarchico tra cui spiccano Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli.
Quest’ultimo, dopo un interrogatorio estenuante a pochi giorni dallo scoppio della bomba, morirà in circostanze misteriose il 15 dicembre 1969, precipitando dal quarto piano della Questura di Milano. Secondo le deposizioni rilasciate dai presenti all’incidente, il Pinelli si sarebbe sporto troppo dalla finestra ed è quindi caduto accidentalmente in seguito ad un malore. Un’altra versione, invece, sosterrebbe che sia stato l’indagato stesso a gettarsi volutamente dopo essere stato messo alle strette durante l’interrogatorio.
Dopo numerosi processi senza effettivi colpevoli, nel 2001 vennero condannati all’ergastolo come artefici della strage tre esponenti del gruppo neofascista Ordine Nuovo: Delfo Zorzi come esecutore materiale, Carlo Maria Maggi come organizzatore e Giancarlo Rognoni come basista.
Basterà aspettare 3 anni per l’ennesimo colpo di scena. I tre ergastoli vennero revocati definitivamente e per i parenti delle vittime, oltre il danno, arrivò anche la beffa: dovettero infatti pagare l’intero ammontare delle spese processuali.
La conclusione di tutta questa misteriosa faccenda è che gli attentati di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi del periodo nero degli Anni 70, non hanno ancora colpevoli accertati. Dopo più di mezzo secolo nessuno ha pagato per questo evento. Incapacità giudiziaria o semplice volontà di insabbiare le prove? Non è dato a sapersi. Rimangono solo le ceneri di una banca, di 17 vittime, di processi andati in fumo e sgretolatisi a causa della negligenza di una giustizia italiana che fa acqua da tutte le parti. Oggi proprio come 51 anni fa.