Sopravvissute: la violenza narrata dalle donne

Durante il pomeriggio del penultimo giorno di Più Libri Più Liberi, secondo il programma della fiera della piccola e media editoria, è avvenuta in sala Elettra la presentazione del libro Sopravvissute. La violenza narrata dalle donne, pubblicato da Castelvecchi appena l’anno scorso.

L’incontro tutto al femminile ha visto le autrici Flaminia Saccà Rosalba Belmonte  rispettivamente docente ordinaria l’una e ricercatrice l’altra di Sociologia dei Fenomeni Politici della Tuscia – dialogare con la giornalista Silvia Garambois e l’ex ministra dell’istruzione Valeria Fedeli.

Innanzitutto, il titolo: “Sopravvissute”, spiega Garambois, secondo il vocabolario femminista, si riferisce a chi è stata una vittima ma non è morta. Coloro che hanno amato, sopportato violenza, umiliazioni, dolore, disperazione e toccato il fondo fino a pensare di non poter più risalire. Eppure, sono ancora vive. Come spiega una delle autrici “Abbiamo scelto il termine ‘sopravvissute’ e non ‘vittime’, perché ‘vittima’ è legato a qualcosa di debole, in realtà queste donne sono forti come leonesse”.

Molto dolorosa è dunque la lettura del libro in questione: “A un certo punto vi arriverà un pugno nello stomaco e vi saliranno le lacrime agli occhi”, così la giornalista Garambois esordisce descrivendone il contenuto. Ad avere voce nel romanzo sono infatti alcune donne vittime di violenza domestica intervistate dalle due autrici, attraverso il proprio punto di vista, le proprie emozioni, il percorso psicologico e l’iter burocratico e legislativo che hanno dovuto affrontare. 

Dando la parola alle donne, e soprattutto non nominando mai i nomi reali degli uomini, viene ribaltato ciò che spesso succede nel linguaggio giornalistico e televisivo quando si parla di femminicidio o violenza domestica fisica, psicologica, economica: focalizzarsi, giustificare e analizzare morbosamente le motivazioni, le azioni e le problematiche del carnefice.

Infatti, lo scopo dell’incontro è quello di, a partire dal libro, affrontare il tema anche da una prospettiva politica e mediatica, denunciando diversi esempi di linguaggio improprio utilizzato e rivolto alle vittime di violenza o alle loro famiglie: non a caso, Flaminia Saccà è anche coordinatrice dell’Osservatorio STEP, Osservatorio sui media contro la violenza del linguaggio sulle donne.

Fondamentale, infine, è l’intervento di Fedeli su una notizia di bruciante attualità: l’annullamento dell’incarico del progetto scolastico “Educazione alle relazioni” da parte del ministro Valditara. L’ex ministra non solo afferma che “non è possibile cambiare idea in meno di ventiquattr’ore su un tema così importante”, ma anche che “la lettura che l’attuale ministro dà di che cosa serve per contrastare la violenza degli uomini sulle donne è assolutamente una lettura impropria, molto parziale, molto riduttiva, molto estemporanea”.

Il tema del femminicidio, della violenza di genere, dei diritti umani, non è un tema né di destra né di sinistra, ma “è un tema che riguarda tutti”. È ciò che ha a che fare con i diritti fondamentali dell’uomo, con la sensibilità umana e soprattutto culturale. 

Il linguaggio è quindi fondamentale: “La parola ‘sopravvissute’ è un termine assolutamente necessario. Siamo abituati a utilizzare questa parola associandola alle vittime dell’olocausto, tuttavia, quando una ragazza e una donna subiscono violenza sono anch’esse sopravvissute. “Perché basta un odore, una via, un momento per ricordarti ciò che è accaduto. E questa cosa non sparisce”, aggiunge Fedeli “Dunque, ha senso chiamarle ‘sopravvissute’, perché è un buio che risiede all’interno di ogni donna. Quel buio dentro può solo essere custodito ma, ricordatevi, non sparisce”.

A cura di Giulia Albano

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