Veloce escalation dei jihadisti. Israele avanza nella zona cuscinetto. L’Iran minacciata da Israele. Oggi Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla situazione.
Sventola la bandiera dei ribelli nell’ambasciata siriana in Russia, a sancire la definitiva conquista di Damasco e la caduta del regime del Presidente Bashar al-Assad che, insieme alla sua famiglia, almeno secondo quanto riporta la Tass citando il Cremlino, si è rifugiato a Mosca insieme alla sua famiglia protetto dal suo alleato Putin. La Siria è dunque in mano ai ribelli dell’Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo filo jihadista nato come costola dell’Isis dalla quale si poi è distaccato, essenzialmente mirato a contrastare il regime siriano di Assad con lo scopo di stabilire un governo fondamentalista piuttosto che un califfato più ampio. Nei giorni scorsi le truppe governative hanno tentato di contrastare l’avanzata dei ribelli, specialmente attraverso l’aiuto delle forze aeree russe e di quelle miliziane di Teheran – che di fatto aveva assoldato gli Hezbollah – ma nonostante ciò gli HTS sono riusciti a penetrare dapprima nella città di Aleppo e successivamente in quella di Hama, nonostante l’asserzione del capo della diplomazia iraniana, Abbas Araghchi, che parlando alla tv di Stato aveva dichiarato che il governo siriano “non ci ha mai chiesto aiuto” a livello militare e dichiarando di essere anche lui sorpreso della rapidità dell’escalation dei ribelli e dell’incapacità dell’esercito siriano di respingerli.
Il regime di Assad, che fu prima di suo padre Hafiz al Assad, il quale prese il potere con un colpo di stato nel novembre del 1970 guidando il così detto “movimento correttivo”, è caduto dopo 53 anni di presenza in Siria, martoriata, specialmente negli ultimi 4 anni, da una continua guerra civile interna, tesa a sgominare le radici del governo ed a riprendere le fila – se pur solo intenzionalmente – di quella che fu la Primavera araba, iniziata nel 2020/2011. L’avanzata è avvenuta in soli dieci giorni, in cui dalla città di Idlib i ribelli si sono velocemente spostati nella capitale, con le forze di sicurezza del Paese costrette in ritirata così come quelle degli Hezbollah, non sostenute, dunque, stavolta né dalla Russia né dall’Iran. Presi i centri del potere quali media, palazzo governativo ed aeroporto, rilasciati i prigionieri e concesso il rientro ai profughi, fuggiti nel frattempo nella vicina Iran, l’HTS è dunque riuscito ad entrare facilmente a Damasco distruggendo la statua del padre del Presidente Assad. Il leader del gruppo islamista HTS, Abu Mohammed al-Jolani ha dichiarato che la caduta del regime del “tiranno” Assad è “una vittoria per la nazione islamica”, d’accordo, evidentemente, con quanto dichiarato da Joe Biden che rassicura sul fatto che gli Stati Uniti vigileranno affinché non si verifichi mai più un ritorno dell’Isis e dichiara: “Finalmente il regime di Assad è caduto. Questa è un’opportunità storica per il popolo siriano”, ed ha poi aggiunto parlando alla Casa Bianca: “Assad deve essere portato davanti alla giustizia e punito”.
Ed ancora, alla Tv di stato siriana, come riferisce la Bbc, Abu Mohammad al-Jolani, di fatto il nuovo leader siriano e con un padre che già fu un oppositore di Assad, dichiara che la caduta del regime di Bashar al Assad è “una vittoria per la nazione islamica. Questo nuovo trionfo, fratelli miei, segna un nuovo capitolo nella storia della regione”, ha riferito nella sua prima apparizione pubblica dopo la caduta del regime, parlando nella moschea degli Omayyadi. Jolani, che per ora ha mantenuto un basso profilo, dichiara che la transizione verso un nuovo governo in Siria sarà moderata ed invita i combattenti a deporre le armi ed a lavorare insieme per un nuovo futuro della Siria.
Come è stata possibile una escalation così veloce dei Jihadisti?
Senza ombra di dubbio i jihadisti hanno volutamente approfittato della battuta d’arresto che gli Hezbollah hanno subìto recentemente in Libano a seguito dell’offensiva israeliana ma anche degli attacchi israeliani ai comandanti militari iraniani in Siria. Questi sono stati due fattori importanti che hanno decretato un momento di empasse di cui approfittare per intraprendere la loro offensiva iniziale su Aleppo. Chi si cela dietro ai ribelli jihadisti è comunque certamente – e non probabilmente – la Turchia di Erdogan, considerando che nello scacco finale su Damasco le truppe si sono mosse dalla città di Idlib nel Nord-Ovest della Siria, una enclave filo-turca protetta fin dal 2020 da un patto Mosca-Ankara.
Ultime notizie e possibile evoluzione
E se è dunque di poche ore fa la notizia che truppe turche stanno combattendo sul fronte nord contro milizie curde, quel che è certo che Tel Aviv è pronta ad approfittare della nuova situazione in Siria che le permetterebbe potenziali trattative per un cessate il fuoco a Gaza oltre che, come maggiormente auspicato da Erdogan, la creazione di un unico stato islamista. Inoltre, nel fine settimana, per la prima volta dal 1973, le forze di terra israeliane sono avanzate oltre la zona demilitarizzata posta al confine tra Siria ed Israele, come riferisce il New York Time, piazzandosi sulle alture del Golan e nella zona del Monte Herman, zona cuscinetto, violando dunque l’accordo di separazione e minacciando di fatto Teheran.
La caduta del regime di Bashar al Assad è una scossa importante per tutto il Medio oriente che sta innescando un effetto domino che potrebbe protrarsi all’interno dell’Iran, andando a scalfire anche il regime degli Ayatollah, che proprio nella partita siriana si è visto abbandonare dall’alleato russo. Il ruolo determinante pare continui ad essere quello dell’ascesa di Trump alla Casa Bianca che potrebbe di fatto appoggiare una destabilizzazione in Iran d’accordo con l’alleato Israele. Ma vedremo anche gli esiti della conferenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu convocata d’urgenza per oggi. Quel che è certo è che si va verso una potenziale modifica degli assetti strategici, politici e militari di tutto il Medio Oriente con importanti ripercussioni per i Paesi occidentali, con la Russia attenta a non perdere le sue basi navali ed aeree in Siria, con la Germania che blocca le richieste di asilo della Siria e con Israele che, attraverso il suo ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha affermato che Israele ha colpito siti sospettati di possedere armi chimiche e razzi a lungo raggio in Siria per impedire che cadessero nelle mani di attori ostili, come riportato da media locali.