Lo scorso 4 luglio, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza per siccità in cinque regioni italiane: Emilia-Romagna, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto.
Questo stato d’emergenza durerà fino al 31 dicembre 2022 e sarà volto a trovare soluzioni efficaci per risolvere una situazione che si sta facendo via via più drammatica.
Cosa sta succedendo
Le scarse precipitazioni, l’aumento costante delle temperature, lo spreco d’acqua annuale e il suo utilizzo scorretto e irresponsabile hanno fatto sì che le regioni attraversate dal Po si trovassero, quest’anno più che mai, in una situazione di deficit idrico importante, che richiede un intervento mirato e concreto. Il governo ha dunque deciso di stanziare trentasei milioni per le cinque regioni in questione.
Secondo Alessandro Miani, presidente Sima, «L’Italia è il Paese dalle grandi risorse idriche ma anche tra i primi al mondo per spreco di acqua: il consumo pro capite quotidiano è di circa 245 litri. Basti pensare che il rubinetto del bagno ha una portata media di oltre 10 litri di acqua al minuto: se lo lasciamo aperto mentre ci laviamo i denti, più di 30 litri di acqua potabile se ne andranno sprecati».
Dunque, secondo Miani, il primo provvedimento serio per arginare questa situazione è quello di cambiare radicalmente le abitudini dei cittadini e abituarli a non sprecare più acqua in maniera incosciente e disinteressata.
Crollo Marmolada
Ma la questione va ben oltre. La siccità che l’Italia si trova a dover affrontare è un problema strutturale, che rende noti i suoi effetti soprattutto sul territorio.
Sempre nella giornata del 4 luglio, in pomeriggio, una massa enorme di ghiaccio e neve si è staccata ed è precipitata a una velocità di circa 200 chilometri orari, investendo dei gruppi di alpinisti che si trovavano lì.
Il bilancio – ancora provvisorio – parla di 7 vittime, 8 feriti (dei quali 2 si trovano in gravi condizioni) e 13 dispersi dei quali non si hanno ancora notizie.
L’evento, stando alle parole del premier che si è recato sul posto, sarebbe «un dramma che certamente ha delle imprevedibilità, ma certamente dipende dal deterioramento dell’ambiente e dalla situazione climatica. Il governo deve riflettere su quanto accaduto e prendere provvedimenti perché quanto accaduto abbia una bassissima probabilità di succedere e anzi venga evitato».
La causa principale di questo improvviso distacco del blocco di ghiaccio è da individuare nelle scarse precipitazioni che si sono avute durante l’inverno ma, soprattutto, nel basso livello di nevicate verificatesi sulle montagne. La neve, per il livello dell’acqua, è fondamentale.
Come si legge su Flowe, la neve, sciogliendosi in primavera «costituisce un serbatoio d’acqua importante per i fiumi più a valle, contribuendo inoltre a mantenere fredde le loro acque. Lo stesso vale anche per i ghiacciai, che a causa dell’innalzamento delle temperature medie diminuiscono ogni anno, perdendo la loro capacità di nutrire stagionalmente i fiumi. Basti pensare che in Lombardia la temperatura media si è innalzata di 2,5°C negli ultimi cinquant’anni.»
Acqua salata nel Po
Tuttavia, c’è un altro problema strettamente connesso alla siccità dei fiumi. Si tratta del cosiddetto cuneo salino, ossia la risalita di acqua salata del mare lungo i fiumi, fenomeno che si è verificato nelle scorse settimane proprio nel Po.
Il verificarsi di una tale vicenda è altamente problematico, poiché l’acqua dolce dei fiumi, nel momento in cui viene “contaminata” dall’acqua salata del mare, non è più utilizzabile per le irrigazioni e, inoltre, determina un grave deterioramento della flora e della fauna fluviale e il deterioramento delle falde acquifere.
Le possibili soluzioni
Meuccio Berselli, segretario generale dell’Autorità Bacino Distrettuale del Fiume Po, ci spiega – in un’intervista rilasciata a Sky Tg 24 – che ci sono diverse misure possibili da adottare per evitare il ripetersi di queste problematiche. Berselli ci parla di investimenti possibili volti a fermare l’acqua piovana, di interventi sulla distribuzione dell’acqua e sul miglioramento delle tecnologie di irrigazioni e, infine, suggerisce di preferire le colture meno bisognose di acqua.
Alla questione delle colture si aggancia anche Elena Fattori, giornalista dell’HuffPost. Secondo la Fattori, infatti, «Un altro problema enorme poi, quando parliamo di agricoltura è che nel tempo abbiamo cambiato le nostre colture: da una prevalenza di grano e riso siamo passati al mais e al kiwi, colture altamente idrovore oggi molto estese. Eravamo il granaio d’Europa, siamo diventati l’orto. Però quando vuoi l’orto, chiaramente, hai bisogno di molta acqua».
La giornalista, inoltre, si scaglia contro chi sostiene che questa siccità sia una calamità o un’emergenza: «La siccità che stiamo affrontando però, non è né una calamità né un’emergenza. Come ha ben spiegato il geologo del CNR Mario Tozzi, un dossier sulla siccità era già sui tavoli del governo sin da marzo. È necessario prepararsi in tempi di pace se si vuole raggiungere un risultato. E questo significa accumulare per tempo l’acqua piovana, stare attenti a non sprecarla, fissare delle regole serie per l’irrigazione in agricoltura. Oggi è già tardi» e conclude «Ecco, io credo che da qui, da queste consapevolezze, bisogna partire se vogliamo veramente affrontare in modo serio la questione della siccità. Evitando strumentalizzazioni politiche e soluzioni tampone e iniziando a dire la verità, per quanto dura, ai cittadini».
Maggiore responsabilizzazione e informazione da parte dei cittadini e maggiore trasparenza da parte di governo ed esperti. Queste, ad oggi, sembrano essere le uniche reali premesse per trovare una soluzione concreta al problema della siccità.