“Torna il Festival Internazionale del Giornalismo, con una XVI edizione che non è soltanto un ritorno, dopo due anni di doverosa pausa per l’emergenza pandemica. Questa edizione sarà prima di tutto l’occasione di una comunità internazionale di esperti, attivisti, accademici e giornalisti per abbracciare il pubblico che ci ha sostenuto per tutti questi anni.
Il centro storico di Perugia è di nuovo il palcoscenico internazionale del giornalismo, con oltre 600 speaker provenienti da tutto il mondo, pronti a discutere e a confrontarsi. Da mercoledì 6 aprile a domenica 10, ci ritroveremo per 5 giorni e 240 incontri, tra tavole rotonde, interviste, presentazioni, serate teatrali. Un’occasione per conoscere nuove tendenze e nuove sfide emerse. Per discutere insieme dei temi cruciali del nostro presente, in questi tempi difficili che richiedono coraggio, umanità e visione. Un’immersione completa in un mondo di inclusività, competenze di primo piano e testimonianze, con una vasta gamma di tematiche”.
Questa l’apertura del comunicato stampa della XVI edizione del Festival, la quale non sarà ricordata solo come quella della ripartenza ma anche per il modo di raccontare il mondo dell’informazione: un mondo in continuo mutamento, sempre considerato a rischio estinzione ma che, negli anni della pandemia e dei conflitti europei, riscopre la sua originaria valenza, ovvero quella di far conoscere. Perché l’informazione vuol dire prima di tutto conoscenza. E la conoscenza è antitetica all’ignoranza. L’ignoranza che le propagande fomentano e che auspicano ai fini della loro riuscita.
Ecco perché questo festival deve essere anche motivo di ripartenza, non solo post pandemia, ma anche e soprattutto per una rivalutazione dell’informazione e dell’importanza del giornalista.
Tuttavia, il giornalismo – in particolar modo quello contemporaneo – è vittima di un cancro interno che lo consuma. È il morbo delle fake news, della scarsa attendibilità, delle fonti inesistenti, del click-bait e sempre meno dei «giornalisti-giornalisti», per citare la pellicola su Giancarlo Siani. E questo sarà uno dei principali focus del festival.
Di particolare importanza, l’incontro con Chiara Albanese, corrispondente per Bloomberg e Alvise Armellini, reporter per diverse testate internazionali. “Gestire gli errori: la differenza tra media italiani e stranieri”, questo il nome del panel in cui si è discusso di una questione fondamentale: cosa fare quando si sbaglia? Perché il giornalismo non è scienza ed errare è umano. Questa nuova forma di giornalismo è rapida e, spesso, per verificare una notizia si tende a googlare l’informazione richiesta senza prestare troppa attenzione alla fonte. L’errore, a livello internazionale, è gestito in modo molto più professionale. Le stesse agenzie di stampa o giornali esteri presentano, nel loro sito, una pagina dedicata a spiegare come gestire l’errore. All’estero chi edita l’articolo, chi lo corregge, è tra le firme dell’articolo ma non in Italia, eppure la responsabilità dell’articolo è tanto di chi lo scrive tanto di chi lo corregge. All’estero i virgolettati – se presenti – riportano parola per parola, espressione per espressione, quello che dicono gli intervistati ma in Italia vige come una libera interpretazione. Armellini cita l’esempio del direttore di Repubblica e quel suo parafrasare i colloqui privati con il Papa. L’impressione non è che in Italia i giornalisti non riconoscano l’errore, quanto più che «questo avviene sempre a valle e non a monte come all’estero», sottolinea Armellini.
Ma il festival, in questi suoi primi panel, ha raccontato — anche e soprattutto — l’importanza dei nuovi media. Diversi gli incontri con META, per spiegare come queste nuove piattaforme, ormai, lavorino a stretto contatto con giornalisti ed editori, i quali vedono diventare la loro notizia un contenuto e questo contenuto, un prodotto; un prodotto che, in quanto tale, va venduto. Ecco spiegata l’importanza di fidelizzare le proprie community, di creare un piano editoriale che sia costante e ricco di contenuti diversificati come reel, stories, live e post. Lo strumento di Creator Studio, in questo contesto, si pone come lo strumento che non aiuta più solo commercianti e aziende ma anche e soprattutto blogger, giornalisti ed editori che possono trovare così, modo di sfruttare l’algoritmo per i loro benefici (anche economici). Il rischio è quello di trasformare il prodotto editoriale in un solo prodotto, con valenza economica prima che culturale. La domanda che ci si pone, quindi, è se è più importante un like e uno share rispetto all’integrità del proprio contenuto, che magari non rispetta le regole del feed o che non genera abbastanza hype.
Un giornalismo-prodotto, del resto, si coadiuva male con quello che viene raccontato negli altri panel. Si parla di “Guerra delle donne”, di rispetto delle fonti, di eutanasia e di istruzione. L’unica certezza è che il festival — già nel suo primo giorno, già nei suoi primissimi panel — si è reso creatore di confronti, di dialoghi; e il capoluogo umbro attende le restanti giornate per poter dare finalmente il via ad una nuova stagione dell’informazione.