Salone del Libro Torino, Emmanuel Carrère: “Non avrei né immaginato, né voluto scrivere un libro sugli attentati”

Siamo nella Sala 500 del Salone del Libro di Torino e Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera, interroga Emmanuel Carrère sul tema della testimonianza: “Non avrei né immaginato, né voluto scrivere un libro sugli attentati.” E infatti V13, vincitore del Premio Strega Europeo 2023, tradotto per l’Italia da Francesco Bergamasco, non è un romanzo. È la cronaca giudiziaria del processo ai complici degli attentati di venerdì 13 novembre 2015. La notte in cui tra Bataclan, Stade de France e bistrot, hanno perso la vita centotrenta persone — centotrentuno, per chi ha letto il libro.

Ma è anche la narrazione di un processo. Una traversata nel dolore che trova nella testimonianza una via per superare il trauma e non lasciare che tutto finisca in rimozione. Un compito difficile, afferma Carrère, perché si tratta di dare voce ai protagonisti, a chi l’orrore l’ha vissuto. Col rischio, anche per lo scrittore più esperto, di sostituire la propria soggettività a quella di chi è in cerca di ascolto, verità, giustizia. È un lavoro in profondità e dagli esiti incerti, poiché nove mesi nella “scatola” dell’Île de la Cité sono un tempo lungo, lungo quanto una gestazione.

Il contatto con il dolore, un tempo dilatato, la comune ricerca di verità e giustizia: gli ingredienti di un legame. Imarisio riconosce proprio in questo aspetto uno dei temi fondamentali di V13. Il luogo del processo, la sua continuità, lo rendono un contenitore di relazioni segnate dal sacro vincolo della sofferenza. E l’autore parigino si fa portavoce di questo grande racconto collettivo. Ma fin dove possono spingersi le parole? Carrère non ha dubbi: se una persona ha deciso di raccontare la sua sofferenza, “io ho sentito il dovere di riportarla.” Il dovere di accogliere l’altro ferito, che con coraggio si appresta a rivivere il momento in cui il male assoluto gli ha portato via gli affetti e la serenità. 

Ma lo è, assoluto? Il giornalista del Corriere rievoca l’antinomia tra bene e male. Eppure, il volume Adelphi non si presta a sentimentalismi sulla banalità del male e il mistero del bene. Gli imputati, nel loro fanatismo poco più che adolescenziale, sono poco interessanti: “Per me qui erano al centro le vittime.” Come i due padri, che hanno perso entrambi una figlia, e che si scontrano con le due facce del dolore: l’odio di Jardin e il perdono di Salines. Ma scegliere da che parte stare non è possibile, non per chi non l’ha vissuto. “Non avrete il mio odio” lo può dire solo chi ci è passato attraverso, magari con un lavoro profondo su di sé, durante il quale gridare all’occhio per occhio è una tappa obbligata. Il ministro Manuel Valls, ricorda Imarisio, ne fa invece un punto d’arrivo: “Non c’è niente da capire, solo da combattere.

Carrère non usa mezzi termini: “È una cazzata, sia filosofica sia giuridica”, capire non è giustificare. C’è un bisogno di sapere, una pulsione di conoscenza che accomuna giudici, giornalisti — e analisti — che deve vincere l’odio e tentare, con ogni mezzo, di “leggere il libro dall’inizio”.

Impossibile non gettare lo sguardo a Est, dove Marco Imarisio lavora come inviato. Tra Mosca e Kiev, lo scontro è prima di tutto fra due visioni del mondo: l’Occidente con la sua democrazia, panacea di ogni male, e l’Oriente dei totalitarismi, un vaso di Pandora. La questione è complessa, ridurla in bianco e nero “sarebbe come leggere l’ultima pagina di un libro.” Il compito dello scrittore è quello di andare oltre una polarizzazione sterile, in cui la parola è ridotta a vile strumento di propaganda. Chi racconta deve navigare nel mezzo, provando a scrivere di fatti o persone cui serve tempo per maturare, dentro di sé e nel mondo che abita. Solo senza la pretesa di sapere già, il processo creativo, al pari di quello giuridico, può considerarsi vera testimonianza. Non perfetta né imparziale: ma equa.

L’ultimo Strega Europeo sembra riuscito nell’intento malgrado le aspettative. Perché in nove mesi di attesa, commozione, rabbia, perfino di noia, qualcosa d’imprevisto è accaduto. Alla fine di questa gestazione, la strana euforia della notte prima del verdetto, punto d’arrivo di una traversata nel dolore collettivo, segna un nuovo inizio. Alla solitudine del lutto subentra l’entusiasmo della speranza. V13 dà voce alla sofferenza corale e ne racconta la catarsi nell’esperienza che Emmanuel Carrère condensa in una parola: gratitudine.

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