Russia, tra nuove crisi e vecchi complessi

Dopo la morte di Navalny e i recenti sviluppi legati al proseguire della guerra in Ucraina occorre tornare ad analizzare la Russia sia in chiave storica sia in chiave internazionale ed attuale. Questo perché, come spesso succede, il dibattito pubblico rischia di banalizzare ogni questione e non consente quasi mai di approfondire propriamente. E, nel caso della Russia, l’approfondimento è necessario per garantire una minima comprensione di vicende legate ad un Paese assai complesso e particolare.

La Terza Roma

A chiunque voglia studiare il russo verrà spiegato che l’elemento senza il quale risulta impossibile iniziare è l’apprendimento dell’alfabeto cirillico.

Noi studenti di liceo linguistico, a metà tra lo scherzo e un po’ di superba vanteria, dicevamo che è come rinascere; perché bisogna cambiare il proprio modo di impostare la sintassi, e dunque la comunicazione, imparando a leggere, a scrivere e a pronunciare suoni finora mai uditi.

Quando Maometto II conquistò Bisanzio nel 1453 Sofia Paleologa, nipote dell’ultimo imperatore bizantino Costantino XI, andò in sposa ad Ivan il Grande; al tempo governante di quella che si chiamava ancora Moscovia. Da qui si fece strada l’idea che Mosca potesse essere assimilata ad una “Terza Roma” capace di ergersi a guida di tutta la cristianità secondo una chiara retorica escatologica. Si trattava insomma di ereditare un passato imperiale e di perpetuarlo, innanzitutto in maniera allegorica nel simbolo dell’Impero russo: l’aquila a tre teste come rappresentazione della Roma antica, di Bisanzio e infine della Russia.

Secoli prima Cirillo e Metodio avevano diffuso il Verbo durante le loro missioni di evangelizzazione. Questo fu reso possibile con l’invenzione del glagolitico, da glagol che vuol dire “verbo”, alfabeto antenato del moderno cirillico.

A completare il quadro è utile considerare come, per molto tempo, l’influsso della Chiesa ortodossa abbia determinato una diversa scansione del tempo in Russia. Infatti, almeno fino a due o tre secoli fa, il calendario in vigore era quello giuliano; ufficialmente sostituito nel 1582 da Papa Gregorio XIII per recuperare il ritardo di dieci giorni derivante dal Concilio di Nicea. Nonostante questo è tuttora comune, nella galassia religiosa ortodossa, usare il calendario giuliano. Ecco perché, ad esempio, in Russia il Natale si festeggia il 7 gennaio.

Un ponte tra Europa e Asia

Tutte le precedenti considerazioni ci offrono sicuramente un insieme complesso e difficile da analizzare. Ciò che si può asserire con certezza è che il panorama culturale russo sia il risultato di un processo di sovrapposizione e di contaminazione sincretica di molteplici esperienze culturali.

Per semplificare e per giungere al cuore della questione, si può dire che la Russia rappresenti una perfetta fusione tra un’anima europea occidentale e un’anima asiatica orientale perfettamente divise dai monti Urali, con tutte le sfumature e le caratteristiche che questo comporta. Tentare di capire questa immensa nazione trascurando una delle due anime renderebbe fin da subito velleitaria qualsiasi analisi. A conferma di questo è curioso scoprire che i russi parlano di Europa ed Asia come un unico continente: l’Eurasia.

Per accorgersi di questa complessità e della ricchezza culturale conseguente basta dare uno sguardo alla letteratura e alle altre espressioni artistiche che in Russia hanno potuto maturare. A livello strettamente letterario gli specialisti parlano di “secolo d’oro” e “secolo d’argento” per riferirsi alle varie ere espressive connotate da sensibilità autoriali ben distinte tra loro.

Dostoevskij da un lato, con la sua prosa fluente e ineluttabile, e Tolstoj dall’altro, ben contraddistinto da uno stile cronologico e consequenziale, riescono ad incamerare la diversità e la globalità interna alla cultura russa.

Una pluralità che viene purtroppo celata da altri tratti più oscuri.

Gli zar e l’impero

Quando si parla di Russia non dobbiamo mai dimenticarci di considerare gli aspetti culturali già menzionati e di sovrapporli agli schemi mentali propri di una comunità politica, che gli scienziati politici chiamerebbero polity, la quale si pensa e interpreta sé stessa come nazione nel senso squisitamente ottocentesco del termine.

Popolo, territorio, cultura e lingua da sommare ad ambizioni imperiali imperiture e immanenti. Questi elementi sono sempre stati presenti in Russia, e sempre resteranno.

E come si governa una nazione, prima al mondo per estensione geografica e dall’essenza multiculturale, che sogna il dominio imperiale? Con una guida forte in grado di evocare le ambizioni e le volontà di potenza insite nel carattere russo per poi conferire alle stesse attuazione concreta per mezzo di forza gloriosa e qualità leaderistiche dimostrate con chiarezza.

Da questo assunto deriva l’estrema popolarità, e la grande legittimazione, legata dapprima agli zar e, successivamente, ai segretari del PCUS e poi ai presidenti della Federazione.

Illusi quelli che parlano di sostenere la nascita di una vera e propria democrazia occidentale in terra russa. A cosa serve la democrazia se non conduce all’impero? Sempre su questo sfondo, un abbaglio pantagruelico è stato quello che ha corrotto la visione tedesca, ed europea per conseguenza, credendo che l’interdipendenza economico-commerciale crescente tra le due realtà potesse democratizzare il gigante euroasiatico.

Non si può eliminare la guida centrale della Russia. Ogni tentativo di questo genere non otterrebbe altro risultato che un accrescimento della violenza interna; col sorgere di una nuova figura guida equipollente alla precedente in termini di indole repressiva e centralistica, se non addirittura peggiore.

I tre pilastri del potere russo

Esistono tre elementi fondamentali che consentono di mantenere il potere in Russia, a prescindere dalle caratteristiche del regime di governo o dall’ideologia ad esso afferente.

Nel primo caso si tratta dell’elemento militare. Più precisamente è il dominio dell’esercito che assume una dimensione imprescindibile nella gerarchia simbolica interna del contesto russo. Una nazione territorialmente estesa che si è sempre immaginata come potenza terrestre. Una nazione famosa per essere popolosa e capace di sostenere sacrifici pantagruelici. L’esercito è percepito come emanazione diretta dei sentimenti nazionali della Russia e, come gli antichi pretoriani, è in grado di influenzare ed alterare anche le dinamiche politiche.

In secondo luogo si arriva all’apparato burocratico. Può sembrare strano che la burocrazia rivesta un ruolo di primo piano nelle sorti di un paese, in quanto solitamente essa è una normale componente delle strutture statali che assicurano un minimo controllo amministrativo. Tuttavia, nel caso della Russia, la burocrazia si dipinge come qualcosa di diverso. Parliamo infatti di un apparato talmente esteso e talmente importante da essere stato inglobato ed equiparato al partito dominante in epoca sovietica. Esemplare è la figura del cosiddetto apparatchnik, ovvero un membro dell’apparato. La burocrazia russa è un vero e proprio corpus che coesiste con le forze armate, talvolta ponendosi in contrasto con esse. Per esempio, sempre in epoca sovietica ma anche oggi, i membri dei servizi segreti, anche se ex militari, venivano e vengono visti come membri di apparato e dunque i militari veri e propri potrebbero facilmente disprezzarli.

Come terzo punto rimane l’elemento religioso relativo sia al culto sia al clero di matrice cristiana ortodossa. A differenza dei primi due, che permangono nella storia russa nonostante i vari cambiamenti intercorsi, quello religioso è un fattore che caratterizza originariamente l’epoca della Russia zarista. Successivamente scompare nel periodo sovietico marcatamente ateista, quantomeno nella sua capacità di condizionare il nucleo di potere, ritornando solo con la nascita della Federazione Russa negli anni Novanta. L’importanza di questo elemento si riconnette ancora una volta con la matrice squisitamente culturale ed identitaria russa; collimando in parte con la rilevanza di fattori mistici e simbolici presenti nell’immaginario russo.

Russia, dove mai voli tu?

In un famoso passo di Gogol, relativo all’opera Le anime morte, viene posto l’interrogativo “Russia, dove mai voli tu?”. Successivamente si legge che “…vola indietro tutto quanto è sulla terra, e schivandola si fanno in disparte e le danno la strada gli altri popoli e le altre nazioni”. Sono parole auliche e capaci di esprimere molte sensazioni con enfasi romantica e poetica. Ma sono anche una cristallizzazione, seppur letteraria, delle ambizioni che ciclicamente avvolgono l’atteggiamento russo e che ne connotano il lato più viscerale.

E dove “vola” la Russia oggi? Qualcuno dice che sogna un proprio impero rinnovato alla luce del secolo corrente. Altri osservano la convergenza con la Cina e l’Iran alla guida di quello che chiamiamo il Mondo Contro, poiché contrapposto alle tendenze e agli interessi occidentali. Sicuramente è un fatto che l’avvicinamento tra Russia e Cina danneggia non solo gli Stati Uniti ma soprattutto l’Unione Europea.

Un altro fatto è che sarebbe superficiale credere nella totale concordanza tra i governi di Mosca e Pechino; sia per motivazioni storiche sia per le preoccupazioni dei russi, che non hanno mai visto con favore il rafforzamento dei loro vicini orientali. Un tempo questa discrepanza venne sfruttata da Nixon per aumentare la pressione sull’Unione Sovietica aprendo nuovi rapporti con la Cina comunista. Domani, dopo la guerra in Ucraina, potrebbe essere conveniente un qualsivoglia tentativo di riaccendere la rivalità sino-russa. Sicuramente gli Stati Uniti, preoccupati dall’ascesa cinese, ci stanno quantomeno pensando.

Nella stretta attualità, come si ricordava all’inizio, permane un regime autoritario schierato su posizioni diametralmente avverse all’Occidente e che dunque si classifica come suo avversario nell’oggi e forse anche nel domani. Julija Navalnaya, nel suo recente discorso al Parlamento Europeo, ha dichiarato che se l’UE vuole sconfiggere la Russia di Putin deve “smettere di essere noiosa”. È una prospettiva interessante, perché ci restituisce una chiave di lettura che solitamente non piace al nostro dibattito pubblico. Mentre la Russia, così come altre nazioni, è ancora capace di raccontare una propria idea di nazione mediante una sua retorica e una narrazione pubblica, che non coincide necessariamente con la propaganda, il dibattito europeo pare molto polemico e poco critico. L’idea di Europa non viene più associata al concetto di innovazione e a istanze positive, piuttosto diventa simbolo di burocrazia imperante e di astratta pesantezza. La distorsione del dibattito libero e democratico è che può portare, in casi di effettiva involuzione dovuta ad incultura, ad un serio peggioramento del morale e del clima sociale.

L’importanza di costruire una narrazione è il vero vantaggio che la Russia ha acquisito in questi anni, forte dell’intuizione che le guerre future saranno ibride e basate sulla comunicazione. Ecco perché, nonostante le chiare violazioni del diritto internazionale legate all’invasione russa del 2022, in molti non simpatizzano per l’Ucraina. I russi sono sempre stati maestri dell’inganno e della dominazione della complessità; forse perché il loro stesso animo risulta  complesso al punto che, talvolta, rimane inconoscibile anche per gli stessi russi.

Nessuno può dire dove si fermerà la Russia oggi o dove andrà domani. Quello che è certo è che la comprensione di questo paese ai fini della competitività e delle relazioni internazionali non pare essere una missione rilevante per gli apparati europei e occidentali, ancora troppo imperniati sul voler credere alle istanze idealiste in luogo di un puro realismo delle relazioni internazionali che tralascia ogni dimensione a parte quella degli interessi oggettivi. Forse, se lo si fosse capito prima, oggi gli sforzi russi sarebbero focalizzati sulla competizione con la Cina e non su una sanguinosa guerra che riporta l’oscurità sull’Europa e sul mondo.

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