Roberto Rossellini nacque a Roma l’8 maggio del 1906. Crebbe in un ambiente borghese e di raffinata cultura. Ricevette una educazione tradizionale, sebbene la frequenza assidua di gente aperta agli stimoli della fantasia e della ragione e una certa innata irrequietezza lo portassero un poco fuori dai binari dell’istruzione abituale della borghesia.
Abbandonò poi gli studi regolari per una libera realizzazione delle proprie attitudini. Il cinema entrò nella cerchia dei suoi interessi, soprattutto come straordinario mezzo per scatenare nuove energie, e strumento di conoscenza.
Diventò autore e a metà degli anni ’30, quando il suo spirito irrequieto si era un po’ assopito, Rossellini realizzò due cortometraggi Daphne e Prelude a l’apres-midi d’ un faune. Rossellini poi collabora al film Luciano Serra pilota (1938), diretto da Goffredo Alessandrini e supervisionato da Vittorio Mussolini, figlio del Duce e spericolato aviatore.
L’apporto di Rossellini a quel film non fu soltanto letterario ma anche tecnico. L’amicizia con Vittorio Mussolini, appassionato di cinema non significò per Rossellini l’adesione al partito fascista, infatti egli rimase per tutta la vita fuori dai gruppi, isolato, in una sorta di disinteresse per le questioni teoriche e politiche. Egli fu un individualista, nutrito soprattutto di intuizioni e adesioni sentimentali agli uomini, ai fatti, alla natura.
Tutto questo non significava un cieco rifiuto della realtà o un misero egocentrismo; ma un modo di vedere “gli altri” come “prossimi”, nel senso cristiano del termine, superando la loro appartenenza ad una determinata classe sociale e culturale. Sarà tuttavia questo atteggiamento apolitico a portare Rossellini alla realizzazione della “trilogia della guerra fascista”: La nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), L’uomo della croce (1943).
Un Rossellini fascista suo malgrado? Forse è meglio dire un Rossellini borghese, scosso dalla brutalità della guerra e costretto a vedere nel sacrificio quotidiano e nell’eroismo individuale una ragione di autenticità che superasse la superficialità e l’inutilità della guerra.
Egli poi girò il film Desiderio; qui Rossellini si muove sul terreno dell’indagine sociale e dell’approfondimento psicologico. Questi due elementi saranno amplificati nel film successivo “Roma città aperta”. Il protagonista di questo film è il popolo romano: gli operai, i ferrovieri, le popolane. Su tutti, incombente, c’è la presenza della morte, che ritroveremo in “Paisà” e in “Germania anno zero” che comporranno, con “Roma città aperta”, la trilogia della guerra antifascista.
“Roma città aperta” è un esempio eccellente del nuovo cinema rosselliniano, cioè la facoltà di darci una dimensione della realtà estremamente autentica, che nasce sullo schermo e si manifesta cinematograficamente nel suo farsi, dinanzi agli occhi dello spettatore. La realtà del film diventa più “vera” della realtà quotidiana. Rossellini volle scrutare la realtà fino ai limiti del tollerabile e del possibile, così da farne emergere un significato spirituale che in un certo senso la giustificasse, le desse un valore.
Rossellini affermava che: “Non aveva bisogno di appoggiarsi a schemi o consuetudini per girare un film, per lui l’ispirazione veniva sul posto e sul momento”.
Non aveva idee preconcette prima di cominciare a girare, secondo lui era la prima inquadratura del film che avrebbe determinato tutta l’opera. Aveva una coscienza molto precisa di quello che voleva dire, ma non sapeva mai come avrebbe proceduto prima di cominciare a girare.
Secondo Rossellini, la realtà non esisteva, ed era sempre soggettiva, era necessario quindi rubare sul momento quelle sensazioni, quelle emozioni che avrebbero potuto creare una realtà. L’unico elemento fisso era il tempo che egli concedeva alla realizzazione di ogni sequenza, due o tre giorni.
Evitava le scenografie, lavorava su ciò che esisteva e diceva: “Ciò che è artisticamente perfetto mi interessa di più di ciò che lo è logicamente”. Improvvisava sui luoghi dell’azione a contatto con le possibilità dei suoi interpreti. Rinunciava alla tecnica per l’istinto. Inoltre Rossellini affermava: “È perché non ho paura della verità, che ho la curiosità dell’essere umano, il realismo è abbandonare l’individuo davanti alla macchina da presa e lasciare costruire da lui stesso la propria storia”.