Nell’ambito musicale si è soliti distinguere il concetto di “esperienza” da quello di “piacere” (o gradimento). Il motivo è basilare ed intuitivo: l’esperienza, in quanto tale, non nasce per soddisfare ma per essere vissuta.
Alla luce di questa premessa – breve ma doverosa – possiamo dare uno sguardo più approfondito ad una band che, da sempre, ha lavorato per partorire contenuti che avessero una nomenclatura completamente diversa, ovvero: corpo di canzone ma anima di flusso emozionale.
Stiamo parlando dei Tool, nello specifico del loro ultimo album “Fear Inoculum”.
Il 30 agosto 2019 viene rilasciato “Fear Inoculum” , dopo più di dieci anni dall’ultimo lavoro “10.000 Days” del 2006. L’impatto della pubblicazione di quest’ultimo disco è stato assordate, data l’attesa e la caratura della band.
L’album parte immediatamente con il primo singolo rilasciato, dall’omonimo titolo.
Il messaggio lanciato dal gruppo è chiaro, lasciarsi trascinare in quella sorta di “buco nero” presente nello spazio cosmico, rappresentato nella copertina del lavoro.
Infatti, il brano di apertura è caratterizzato da una fisionomia (nonostante la durata di 10 minuti e 20 secondi) ben delineata rispetto ai suoi successori; ciò lo rende centrale e riferimento imprescindibile, quasi come “zona franca” da dove ripartire in caso di necessità durante l’ascolto.
L’atmosfera presentata fin dall’inizio, di disagio ed inadeguatezza, è resa possibile grazie ad una sezione ritmica di livello assoluto, che si protrae lungo tutto l’album. Non a caso, Danny Carey (batterista e cofondatore) è considerato uno dei più importanti batteristi in attività nonché di sempre.
La sensazione che si avverte al termine del primo singolo è quella di aver oltrepassato una sorta di varco; ormai si è dentro e l’unica soluzione è quella di continuare.
Proseguendo nell’ascolto è tangibile, anche considerando i testi, come la finalità dell’album (se così la si può definire) sia di far sgretolare tutte quelle certezze, quei paradigmi ed ambiti insiti nella persona, in questo caso l’ascoltatore.
Il metodo utilizzato per arrivare a ciò è quello di strutturare i brani in giri melodici simili ma in nessuna occasione identici; difatti, durante l’ascolto la sensazione di perdere il riferimento uditivo è onnipresente; esempio concreto è il brano “Invincible”.
In sintesi, stiamo discorrendo di un lavoro di pregevole fattura, dove spicca una libertà assoluta dei Tool nelle decisioni assunte e nelle soluzioni tenute in considerazione.
L’hype sorto nei riguardi di “Fear Inoculum” si è rivelato essere un dato da non sottovalutare, perché la band ha sfruttato tale contesto di attesa, per spingere su soluzioni stilistiche che, magari, in altre circostanze avrebbero ripagato meno.
L’album, chiaramente, può non piacere o non appagare completamente, ma va ascoltato.
Proprio sulle modalità di ascolto è giusto soffermarsi, per rendere ancora più concreto questo approfondimento; difatti, i Tool non sono un classico ascolto da “sfizio” o mentre si è in auto.
Quest’ultimi vanno ascoltati in contesti appropriati alla complessità ed alla struttura dei loro lavori; sono troppe le sfumature nascoste e non facili da percepire se non le si mette in condizione di farlo.
A livello di risultati, l’album ha raggiunto la prima posizioni nelle maggiori classifiche ufficiali del mondo; anche in Italia vi è stato un riscontro molto importante. C’è da dire che i Tool trovano, qui da noi, un bacino d’utenza significativo, difatti siamo fra i principali estimatori di questa band.
Quest’ultimo dato va sottolineato, “arrivare” al pubblico italiano è sempre molto difficile, data la caratteristica di essere molto esigente nei riguardi di alcuni artisti.
Nonostante ciò, come anticipato, il disco è andato molto bene e questo non può che far piacere.
Ora, con questa riflessione su “Fear Inoculum” non si vuole spingere il più possibile questo lavoro, il vero fine è quello di ascoltare e di tener ben distinto il proprio gradimento dall’oggettiva importanza di un ascolto e quello dei Tool lo è senza ombra di dubbio.