La band è una realtà diversa rispetto a quella solista; la prima è tendente ad identificarsi più ad una “macchina” costituita da molteplici parti ed ingranaggi, difficile da far funzionare.
Gli esempi sono numerosi, ognuno con i suoi tratti di peculiarità; ma fra le tante situazioni di cui si potrebbe discorrere, la più paradossale e contorta è quella degli “Slipknot”.
A livello primordiale, il progetto Slipknot può essere ricondotto intorno alla prima metà degli anni novanta. In questi anni, fino al 1998, si cerca di strutturare al meglio il gruppo, con musicisti competenti su più fronti, ovvero con diversi strumenti.
Ed ecco il primo tratto somatico esclusivo della band, vale a dire il numero dei membri, infatti la formazione definitiva consta di ben 9 componenti, di cui tre su strumenti a percussioni.
Shawn “Clown” Crahan (fondatore, coordinatore e percussionista) affermò che tale scelta era volta a costituire un vero e proprio “muro del suono”.
Da segnalare anche l’utilizzo di un tastierista e di un DJ, che hanno consentito alla band di sperimentare ed avere molteplici soluzioni compositive.
A rendere il tutto ancora più complesso, vi contribuì la loro immagine; difatti, i 9 provenienti dallo Stato dell’Iowa si contraddistinguono per utilizzare maschere e vestiario modificati all’uscita di ogni album.
Non è lo scopo di questo approfondimento soffermarsi esclusivamente sulla discografia della band, ma di affrontarla in modo aperto e dinamico; quello che possiamo dire è che la “macchina Slipknot” ha funzionato in modo impeccabile per i primi tre album pubblicati.
Nel 1999 viene rilasciato il primo disco della band, dal titolo omonimo “Slipknot”; album ritenuto rivoluzionario per i tempi e per il panorama mondiale, introducendo una varietà spropositata di sonorità fino ad allora “inesplorate”. La critica positiva ricevuta era condita da un velo di scetticismo su come la band avrebbe mai potuto eguagliare un prodotto simile.
Ma ecco che nel 2001 viene rilasciato “IOWA”, – titolo che deriva dalla provenienza dei membri – che segnerà la vera e propria consacrazione degli Slipknot nell’olimpo del genere metal. La prova della band è magistrale, in particolare del DJ Sid Wilson, il batterista Joey Jordison e del cantante Corey Taylor, ritenuto sul piano tecnico e versatile uno dei migliori di sempre nel panorama musicale generale.
Quest’ultimo è un disco volontariamente esagerato ed impetuoso, caratterizzato da una sensazione di caos e nervosismo onnipresente dall’inizio alla fine dell’album.
Nonostante iniziarono ad emergere le prime notizie circa la dipendenza di alcuni membri della band, oltre a varie vicende personali, gli Slipknot riuscirono ad annientare qualsiasi causa di intralcio per i futuri lavori ed ecco che nel 2004 fu pubblicato “Vol.3: The Subliminal Verses”.
Si discorre di un album a tratti molto sottovalutato, dove muta l’impostazione dei brani. Le chitarre vengono poste in prima linea, cercando di farle interagire in una sorta di “botta e risposta” con la batteria; questa interazione rende il lavoro del tutto unico e notevolmente diverso rispetto ai suoi predecessori, esempio concreto sono i brani “The Blister Exists” e “Duality”.
Come anticipato, iniziarono a circolare notizie e rumors circa alcune vicende personali della band, tutto ciò venne condito anche dai primi dissidi a livello compositivo.
Il numero elevato dei membri era – ed è – un fattore che se da un lato permette di lavorare su più fronti, dall’altro non è di facile gestione, anzi. Nove componenti significano nove menti pensanti, ognuna avente proprie inclinazioni.
Il merito degli Slipknot è stato quello di saper conciliare le considerazioni di tutti, per remare verso la stessa direzione; questo però, non è sempre possibile e facile da ottenere.
Si arriva alla pubblicazione del quarto album, “All Hope Is Gone” (2008).
Quest’ultimo sarà l’album della discordia, difatti scatenerà una vera e propria scissione fra i fan ed appassionati del genere.
Aperto a nuove sonorità, accessibili e dirette anche ad un pubblico diverso rispetto ai precedenti lavori, questo disco è stato oggetto di numerose critiche per via di una sua realizzazione “approssimativa e quindi non troppo ragionata”.
Sicuramente il contesto creatosi durante la registrazione non ha giocato a favore della band.
Si inizia quindi a captare come la “macchina Slipknot” sia soggetta ad una molteplicità di fattori, di ingranaggi che ne compromettono il funzionamento. La stessa macchina che per anni aveva funzionato in modo impeccabile, cominciava a dare segni di deterioramento.
La capacità dei membri nell’azzerare qualsiasi polemica e critica, non poté nulla durante il tragico evento della morte di Paul Gray (bassista, fondatore) nel maggio del 2010, a causa di un’overdose.
Da qui in poi, la carriera degli Slipknot è stata plasmata sotto ogni punto di vista, sia personale che professionale.
Il gruppo decide comunque di continuare a lavorare, ma nel 2013 iniziò un altro capitolo oscuro per la band dell’Iowa, infatti vi fù l’allontanamento di Joey Jordison, batterista ritenuto fra i migliori in assoluto.
I motivi della separazione sono ignoti, chi parla di divergenze, chi di problemi ancora con alcune dipendenze da parte dello stesso Jordison.
Anche in questa occasione, la vicenda non giocò a favore del gruppo, data la rilevanza mondiale del batterista ed il suo ruolo di spicco nella band.
Tutto ciò confluisce nella realizzazione di “.5:The Gray Chapter” (2014).
Da segnalare l’ingresso nel gruppo del batterista Jay Weinberg e del bassista Alessandro Venturella.
Il disco nasce sicuramente con aspetti da regolare che ne alterano la realizzazione, come ad esempio, la coesione con i nuovi membri appena aggiunti; anche il fattore tempo non giovò al suo perfezionamento.
In sostanza, presenta molti spunti interessanti con netti tagli rispetto al passato, quasi come fosse un “anno zero”, ma con evidenti lacune in diverse zone del lavoro.
La loro storia è solo una delle tante di cui si potrebbe discorrere.
La gestione di una band passa attraverso una pluralità di fattori, che risulta estremamente difficile far conciliare al fine di realizzare il lavoro nel miglior modo possibile.
Insomma, il livello è alto e mantenerlo non è semplice, questo implica chiaramente delle valutazioni più ponderate e attente, da parte degli ascoltatori. Mostri sacri della musica non possono essere “condannati” per scelte stilistiche o per ragioni affini; il disaccordo fa parte della musica, come di ogni altro aspetto, ma il tutto va razionalizzato con attenzione.