Brooklyn, 10 aprile 1996.
In quel giorno, al Majestic Theatre della Brooklyn Academy of Music, andò in scena un live destinato a fare la storia dell’industria musicale. Pubblicato solamente il successivo 30 luglio, l’MTV Unplugged degli Alice In Chains fa parte della serie di concerti dal vivo, dell’omonimo progetto, ideato da Beth McCarty.
Nel corso degli anni, molti artisti si sono esibiti in questa kermesse. Spettacoli di alto livello e dal grande impatto. Ma per quale motivo il live degli Alice In Chains ha sempre avuto un fascino differente? Cosa distingue questo evento rispetto agli altri?
Scenario
Lo spettacolo è stato diretto da Joe Perota e trasmesso – per la prima volta – su MTV il 28 maggio del 1996. Dopo più di due anni, la band di Seattle torna a esibirsi live. I demoni di Layne Staley hanno inciso profondamente anche la gestione del gruppo: una condizione di abbandono, di caduta verso uno spazio cosmico senza aver possibilità di risalita.
Nonostante il suo stato, di grande sofferenza, Staley decide di convogliare tutte le sue forze nella preparazione del concerto. L’hype è altissimo, il ritorno della band dopo un lungo periodo di lontananza dai palchi, nonché lo scenario suggestivo, contribuiscono ad alimentare il gran desiderio dei fan nel rivedere gli Alice In Chains all’opera.
Il live si apre con il brano Nutshell, contenuto nell’ EP Jar Of Flies del 1994. La scelta è ineccepibile: traccia dalla magia avvolgente che introduce il pubblico in un viaggio dove l’unica luce sarà prodotta dalla stessa band.
Questa canzone ha il chiaro intento di isolare il Majestic Theatre, compreso l’ascoltatore, dalla realtà circostante. Il suo utilizzo, in questo contesto, è particolare quanto riuscito; in Jar Of Flies, infatti, Nutshell non apre il prodotto (che vede come primo brano Rotten Apple).
Si è dentro. Da questo momento si è ufficialmente risucchiati nello scenario disegnato dagli Alice In Chains.
Il primo snodo cruciale da dover oltrepassare si palesa nella quarta traccia: Sludge Factory.
Quest’ultima è contenuta nel self-titled della band, pubblicato nel 1995. L’ultimo disco con Layne Staley è – forse – il più complesso da contestualizzare e assimilare. Gli Alice In Chains non lasciano punti di riferimento e l’impiego di Sludge Factory è finalizzato proprio a tale risultato. In questo punto vi è incertezza, il gruppo non ha ancora calato i propri assi e quella sensazione iniziale, di disagio e nudità, sembra affievolirsi. Lo scopo è quello di giungere al momento più delicato dell’intera performance, ossia l’esecuzione di Down In A Hole.
Il brano contenuto in Dirt – capolavoro del 1992 – è una caduta verso l’ignoto. L’essere umano disperso dove nessuno può più ritrovarlo, abbandonato ai suoi demoni e le sue angosce. Layne Staley, in Down In A Hole, canta semplicemente sé stesso.
Dal punto di vista tecnico, la traccia è magistrale. Il lavoro di Jerry Cantrell è di altissima caratura: fase compositiva curata al dettaglio e perfetta per il perenne senso di sconforto e nostalgia insito nel pezzo.
Cantrell è, senza ombra di dubbio, il motore di un gruppo sofisticato ma estremamente puro nella sua essenza. Le profondità d’animo del chitarrista ha contribuito a forgiare gli AIC di una tempra unica e inestimabile. Non è un caso sottolineare il grande apporto, di tale artista, in questo esatto momento dello spettacolo. Si giunge, infatti, ad Angry Chair, altra traccia contenuta in Dirt e uno dei riferimenti imprescindibili per la comprensione del sound degli Alice.
L’album in questione è un capolavoro. Le trame coinvolte nella realizzazione di questo disco sono magistrali e racchiudono quella che Enrico Silvestrin (VJ, attore e presentatore italiano), nel suo bellissimo canale Twitch, ha definito la “quinta essenza” del sound della band. Arriva così il momento di Rooster, dedicata al padre di Jerry Cantrell reduce dal Vietnam. Si è perfettamente in linea con la premessa iniziale: perdersi per poi non ritrovarsi.
Heaven Beside You costituisce l’apertura dell’ultimo tratto dell’MTV Unplugged. Anche in questo caso, un brano del selt-titled come preludio a un qualcosa di incisivo e devastante sul piano emotivo. Si aprono le porte alla canzone che riduce, sostanzialmente, l’intera carriera degli AIC a una traccia fuori dalle logiche alle quali siamo – oggi – abituati, ossia: Would?
Questo pezzo è scritto in memoria del defunto cantante dei Mother Love Bone, Andrew Wood morto per overdose nel 1990. Ciò che avverrà dopo questa esecuzione è solo l’accompagnamento verso la fine di un percorso che segnerà, per sempre, chiunque avrà partecipato a questo immenso trip.
Le ultime tre tracce sono Frogs, Over Now e The Killer Is Me. Proprio quest’ultima, inedita e mai eseguita live, ha l’arduo compito di calare il sipario di uno spettacolo leggendario. Si tratta di brani con una specifica funzione conclusiva, nei quali si percepisce quel senso di chiusura e di consapevolezza su ciò che avverrà.
Sipario
Quello che hanno creato gli Alice In Chains, con questa esibizione, va ben al di là del semplice concerto. Si tratta di un opera non contestualizzabile ma che dona una pagina indelebile nel cuore di ogni appassionato. Uno scenario caratterizzato dalla grande sostanza e dall’enorme sforzo nel compiere, quello che a posteriori sarà, l’ultimo atto della vecchia formazione.
Innegabile come i problemi di Layne siano parte integrante di questo MTV Unplugged. Soffermarsi su questo punto, però, rischierebbe di distogliere quella sensazione di unicità creatasi con così tanto sacrificio. Il contatto genuino con la band è uno dei tratti essenziali di questa performance e costituisce, in tal senso, la prerogativa degli stessi AIC per poter mirare al loro fine ultimo. Gli errori (come nel caso di Sludge Factory), i dialoghi e la concentrazione sono tutte parti di un mosaico dal valore inestimabile.
Finalmente una recensione in italiano del leggendario unplugged degli AIC scritta da qualcuno che davvero conosce e ama la loro musica. Hai colto perfettamente il senso di questo live show, senza soffermarti su dettagli o commenti superflui.