Il legame fra la morte e l’uomo è sicuramente inscindibile.
Ma cosa significa “vivere dentro la morte”? Come si cresce in un contesto dominato dalla scomparsa e dalla perdita dei propri cari?
Domande forse astratte, ma neanche troppo considerando il protagonista di questo approfondimento, figura portante del metal e precursore di innumerevoli sfumature del genere: Chuck Schuldiner.
Charles Michael Schuldiner nasce a Long Island (New York) nel 1967, terzo di tre fratelli.
Fin dalla più tenera età si appassiona alla chitarra che, da lì in avanti, si rivelerà essere l’unico riferimento presente nella sua vita. Chuck dimostra, fin dal principio, grande manualità e dedizione verso lo strumento; acquistato in seguito a un tragico evento che colpì la famiglia Schuldiner: la scomparsa, in un tragico incidente stradale, del fratello maggiore Frank, nel 1974.
Il grave lutto provocò un cambio di atteggiamento da parte di Charles, un ragazzo desideroso di coltivare le proprie passioni, che nascondeva, però, un logorio ed un’inquietudine onnipresenti nelle sue espressioni e nei suoi sorrisi.
Deciso ad intraprendere la carriera musicale, nel 1983 Chuck fonda i “Death” (morte), di cui lui sarà cantante e chitarrista. Un nome che può sembrare scontato e classico stereotipo per il metal, ma che in realtà nasconde molto di più.
Gli esordi non furono dei più semplici, anzi, si rivelarono molto difficoltosi sia a livello tecnico, data ancora la non totale praticità nell’utilizzo dello strumento, sia a livello organizzativo.
Malgrado i diversi intoppi, la volontà era quella di giungere ad una sfumatura diversa del genere metal, cattiva ma melodica e fu così che si arrivò ad un nuovo concetto, ossia il “death metal”.
Schuldiner voleva liberare la sua rabbia, il suo malessere, in giri di chitarra pesanti, veloci e malinconici arpeggi, che facevano da preludio alla fuoriuscita del male interiore.
Tutto ciò confluì in diversi lavori dei Death, caratterizzati però da formazioni instabili e da prodotti distanti dall’immaginario dello stesso Chuck.
Il 1993 un anno cruciale per la band con la realizzazione di “Individual Thought Patterns”, il loro album più venduto.
Caratterizzato da una base costantemente orientata verso il progressive, il disco suscitò un grande clamore a livello critico in merito alle innovazioni apportate oltre che ad una grande sezione ritmica, curata nel dettaglio.
Il grande risultato ottenuto però, non mise fine al desiderio di trattazione della morte, tema portate dei lavori dei Death.
Nel 1998, dopo l’uscita tre anni prima di “Symbolic”, viene pubblicato “The Sound of Perseverance”, settimo ed ultimo album della band.
Su questo lavoro sono innumerevoli le possibili considerazioni da fare. Già il titolo sembra raccontarci la storia del tormentato chitarrista.
A livello tecnico il prodotto è l’apice della carriera dello stesso Schuldiner, maniacale e riassuntivo dell’intera discografia, grazie alle numerose influenze e richiami presenti nell’album.
Laddove non arriva la sua voce straziante arrivano le sue mani, in grado di dar “voce” a quei giri di chitarra compatti, precisi e profondi.
Esempio concreto è la canzone “Voice of the Soul” Che, nonostante sia priva di sezione vocale, sembra comunicare e pronunciare parole, grazie al grande lavoro con le chitarre.
Ci si accorge come il livello sia assoluto, difatti, nell’ambito metal si afferma che i Death e i Pantera siano “gli intoccabili”, ovvero le sole band che riescono a creare una unanimità (aspetto da non sottovalutare data l’esigenza del pubblico in questione).
Si è anticipato come “The Sound of Perseverance” sia considerato una sorta di arrivo nella carriera dell’artista. Ad un solo anno dall’uscita dell’album appena menzionato, quindi nel 1999, viene diagnosticato il cancro, nello specifico nel tronco encefalitico, allo stesso Chuck Schuldiner.
Le terapie furono tante e molto costose, si è soliti affermare che la famiglia fu aiutata da diversi esponenti del mondo musicale, grandi estimatori dei Death.
Nonostante la regolarità delle cure, il fisico di Charles non fu più in grado di reggere la grande mole di lavoro terapeutico. Il calo progressivo portò alla morte, il 13 dicembre del 2001, nella sua abitazione.
La scomparsa fu un duro colpo nell’ambiente metal, tanti artisti impiegarono molto tempo per “metabolizzare” il tutto. La grande ispirazione ed ammirazione nei confronti di Chuck contribuirono a creare un velo di comunione e di condivisione del dolore.
Ecco, forse si è giunti a dare una risposta alla domanda iniziale, forse “vivere dentro la morte” è vivere come Chuck Schuldiner; avere una sorta di consapevolezza di ciò che accadrà, magari anche una consapevolezza incosciente alimentata da quella perseveranza tanto cantata.
Prima mi sembravano solo ina band metal … Ma non è affatto così. ..
Mamma mia comunque che post…brividi
L’Heavy Metal non è per tutti è vero ma, in estrema sintesi, è di chiunque voglia fruirne.
E aggiungo, nei modi e con le sfumature che ciascuno preferisce.
Tuttavia, redigere articoli sull’ Heavy Metal, così come su qualsiasi altro argomento, dovrebbe richiedere un minimo di approfondimento della materia e delle capacità di scrittura quantomeno decorose.
Capisco che siamo nel 2019 e le riviste musicali, con le loro redazioni ed i giornalisti del settore, sono ormai state rottamate del tutto in favore della rete, dei blog e di pagine social che senza alcun controllo, rectius revisione, consentono a chiunque di dire la propria opinione su tutto.
Comprendo altresì, come gli autori di certi articoli di genere, ormai, siano esclusivamente dei volontari, dei “militanti” della scena e che, di fatto, prestino la loro opera a titolo gratuito se non anche rimettendoci in termini di spese vive e tempo libero.
Occorre però prendere tristemente atto di come la quasi totalità di quanto pubblicato sul mondo del l’Heavy Metal sia, ad oggi, amatoriale, superficiale e molto distante dagli standard minimi che distinguono un articolo di approfondimento da un mero post su un qualsivoglia social nel quale l’autore esprime pubblicamente i propri pensieri.
Entrando nel merito (la premessa è generica e non rivolta esclusivamente all’autore) questo articolo di approfondimento che mi aveva colpito per il titolo, mi ha molto deluso nel contenuto. Troppo generico. “generale ed astratto” Direbbero in taluni ambienti.
Le frasi sono brevi e lasciano i discorsi a metà, le argomentazioni non hanno nessun supporto. Non si citano né si richiamano le fonti. Alcune affermazioni sono del tutto arbitrarie, generiche e frettolose.
Ad esempio: “si è soliti affermare che la famiglia fu aiutata da diversi esponenti del mondo musicale” … chi? Come? Quando?
La ricostruzione della discografia è parziale e la ricostruzione cronologica molto confusa… “Nel 1998, dopo l’uscita tre anni prima di “Symbolic”, viene pubblicato “The Sound of Perseverance”.. è corretto ma suona veramente male.
Alcune frasi sono eccessivamente colloquiali – nell’ambito metal si afferma che i Death e i Pantera siano “gli intoccabili”- anche se la costruzione della frase è formale come un ricorso per decreto ingiuntivo.
E così via. Alla fine si ribadisce sempre lo stesso concetto per il quale Chuck liberava ed esorcizzava il proprio dolore nei propri album.
In estrema sintesi sono consapevole di essere un gran rompipalle.
Però perdo tempo a scrivere questo commento anche solo per dare uno stimolo, dalla prospettiva di lettore che per anni ha divorato le pubblicazioni e le riviste che hanno fatto vivere e respirare l’heavy metal anche a quelli che come me venivano da province distanti anni luce da quel mondo.
Un saluto e non mollare