Ride the Lightning: Chelsea Wolfe – “The Grime And The Glow” (2010)

L’istante in cui il sangue sembra gelarsi a causa di un evento inaspettato, quella frazione dove tutta la vita sembra scorrere davanti ai propri occhi. In quel preciso momento è possibile percepire la desolazione, caratterizzata da uno scenario macabro pronto a denudare la persona.

Una premessa forte e cruda come “The Grime And The Glow”, primo album in studio di Chelsea Wolfe.

Riflettere circa questo disco non è cosa semplice. Il brano di apertura “Advice & Vices” introduce ad una caduta, ormai inevitabile, in una spirale emotiva che metterà a dura prova chiunque voglia cimentarsi con l’ascolto di un album così ermetico.

La chiusura sembra essere una costante dell’intero lavoro ed è qui che si colloca la zona nevralgica dell’intera trattazione. Fin dall’ascolto di “Cousins Of The Antichrist” – seconda traccia dell’album – si è già in una condizione di impossibilità; è troppo tardi, si è ormai con le spalle al muro. Non resta altro da fare che affrontare sé stessi, i propri sensi di colpa ed i propri tormenti.

Questo non impedisce al disco di essere differenziato al suo interno; la cantautrice statunitense è stata in grado di ponderare tutti quegli elementi necessari affinché l’album potesse risultare voluminoso e non statico, sintomo di come Chelsea Wolfe sia riuscita nell’arduo compito di dare un’anima ben definita alla sua creatura.

Ricondotto all’ “indie folk”, “The Grime And The Glow” mette in evidenza, però, numerose influenze che portano una cospicua fetta della critica musicale a collocarlo verso la nuova corrente del “drone metal”. Non risulta indispensabile qualificare, a livello di genere, questo disco ma – e questo è ciò che deve interessare – quanto appena riportato testimonia come sia un prodotto difficile da gestire.

Ciò porta la riflessione a toccare il piano organizzativo dell’album. Senza dubbio la voce della ragazza originaria di Roseville (California) si innesta alla perfezione con una parte strumentale molto evasiva e sfaldata (ciò alimenta la direzione emotiva perseguita dal lavoro).

Si raggiunge, in questo modo, una polarità fra la delicatezza della parte vocale e quei giri strumentali strazianti che sembrano accompagnare l’ascoltatore verso una meta non ben definita. Si riscontra quanto appena sottolineato nel brano “Benjamin” ma, in generale, in tutta la parte centrale del disco.

Questo utilizzo degli elementi contrapposti, ognuno dipendente dall’altro, rappresenta una chiave decisiva per comprendere la logica dell’album; l’essere umano inteso nella sua parte buona e nella sua parte cattiva, due estremi che costituiscono la persona in toto considerata.

Proprio questa considerazione totale che porta, come anticipato, la persona ad affrontare sé stessa culmina nel brano “Widow”. Ultima traccia che non lascia spazio ad interpretazioni, si è giunti alla fine. Questo è un pezzo che riveste una grande rilevanza sul piano sistematico, infatti è l’unico riferimento che mette a disposizione l’album, come se una volta intrapreso questo processo vi sia come unica certezza quest’atto finale.

Solamente giungendo alla fine sarà possibile tirare una linea ed avere un prospetto chiaro circa il percorso svolto durante l’ascolto.

Alla luce di quanto finora riportato, è doveroso prestare attenzione anche nei confronti della copertina del disco. Sulle rive di un lago c’è una donna – presumibilmente la stessa Chelsea Wolfe – vestita totalmente di nero e con un braccio teso verso l’acqua, come ad aspettare l’anima impegnata nel processo intrapreso con l’ascolto dell’album così da poterla estrarre.

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