“Pretendi un amore che non pretende niente”, la prima raccolta di racconti di Francesca Cerutti

Pretendi un amore che non pretende niente è la prima raccolta di racconti di Francesca Cerutti, edita Augh Edizioni, che esplora le sfumature più intime e complesse dei rapporti umani, intrecciando storie di amori non dichiarati, amicizie messe alla prova dal tempo e dall’assenza, e riflessioni sulla vita che si dipanano sullo sfondo vibrante e malinconico di Milano.

La forza di questa raccolta risiede nella capacità dell’autrice di rendere universale ciò che è profondamente personale. Ogni racconto è una finestra aperta su momenti di vulnerabilità e introspezione, in cui i personaggi affrontano paure, desideri, e rimpianti che risuonano con l’esperienza di chiunque abbia mai amato, sofferto, o sognato. Tutto questo con uno sfondo banale ma non banale: Milano. Questa città è banale in quanto la retorica della bellezza della grande città con le sue opportunità ha fatto sì che moltissimi ne parlassero e la rendessero sfondo delle proprie storie, ma dipende come ogni autore l’ha trattata, questa non diventa effettivamente banale. Pensiamo a Elio Vittorini, siciliano ma adottato da Milano, che la rende sfondo terribile del suo “Uomini e no” leggendo il quale è possibile fare un vero e proprio itinerario per visitare la città, ed è stato effettivamente realizzato nel 2017 in occasione dello spettacolo Uomini e no di Michele Santeramo: in collaborazione con ATM fu organizzato un percorso teatrale a bordo di un tram della vecchia Milano alla scoperta dei luoghi più significativi del romanzo. 

Una cosa simile, senza ovviamente tutta la valenza storica di Vittorini e quel dramma collettivo, ma con ben altri drammi, più interiori, quotidiani, del nostro mondo contemporaneo fatto di maggiore benessere, si potrebbe fare anche con questa raccolta di racconti. La città, tuttavia, non è solamente un luogo: in “Pretendi un amore che non pretende niente”: è sì presente con la sua atmosfera mutevole e i suoi luoghi iconici, ma non è solo lo scenario di queste storie, bensì diventa un vero e proprio personaggio. Lo stesso tram in copertina è un personaggio che parla, non letteralmente certo, ma la cui vitalità stupisce e cattura il lettore in un viaggio profondo e intimo dove i suoi sedili sono testimoni silenziosi delle emozioni che attraversano i protagonisti. La parola “tram” si ritrova tantissime volte nei racconti. È un problema pragmatico, sicuramente, perché a Milano ci si sposta tantissimo usando questo mezzo, ma è anche indicativo della valenza delle abitudini e dei mezzi nello scenario scelto. Il tram è sempre lì, non solo in copertina, ma ad osservare le idiosincrasie dei personaggi, le loro giornate, le loro paure, i loro errori, la loro fragilità. 

“Nicolò ha preso il tram con un certo anticipo, nella speranza di riuscire a tornare a casa prima che il traffico si paralizzi. Per tutto il pomeriggio è stato incapace di concentrarsi. Prima gli attacchi di panico davanti alle scale, poi l’agorafobia. Impossibile continuare così. Non sa con chi parlarne, non gli viene in mente nessuno che non lo prenderebbe per pazzo. Dovrebbe partire dall’inizio, da quell’amore non ricambiato per Giorgia. Trovare il coraggio di ammettere che si può stare male, malissimo, anche per una storia mai cominciata. Forse non è vero che gli altri non capirebbero. Che non ci sia niente di ridicolo? 

«A causa di un incidente, l’itinerario del tram 14 subirà una variazione. Ci scusiamo per il disagio». Dagli altoparlanti una voce metallica lo riporta alla realtà, mentre il tram scivola giù per corso Italia”. Dal racconto che dà il titolo alla raccolta.

Francesca Cerutti tratteggia gli aspetti della città con un affetto palpabile, rendendo Milano un luogo dell’anima, oltre che uno spazio fisico. Le descrizioni sono vivide ed evocative, ma anche precise: se qualcuno non conosce Milano è spinto dalla voglia di cercare magari su Google Maps la via o la zona citata. È il fil rouge che lega storie che sono fra loro molto diverse. In ogni racconto, infatti, l’autrice utilizza una tecnica narrativa diversa, spaziando tra il dialogo diretto, il flusso di coscienza, e l’introspezione più profonda, arricchendo la raccolta di una varietà stilistica che mantiene viva l’attenzione del lettore. Gli otto racconti sono corredati spesso da riferimenti musicali e letterari, collegati non solo da Milano come filo conduttore, ma anche di un insieme forte di malinconia e speranza, nostalgia e ricordo, dove le relazioni umane, anche quelle non corrisposte o incompiute, lasciano un segno indelebile sui protagonisti, trasformando ogni incontro, ogni mancata dichiarazione, ogni scelta non fatta in una lezione, un’esperienza per loro e anche per il lettore.

Hanno preso un tram, sono scese in piazza Cinque Giornate. Passano accanto a un bar e dalla porta aperta si sentono, nitide, le prime note di una canzone. Creep dei Radiohead. Irene trattiene a stento un sorriso; ricorda bene che era quella che Viola stava ascoltando quando si sono conosciute. L’aveva notata giorni prima, ma non le aveva parlato subito”. Dal racconto “Un’anima grande”

Questa raccolta è quindi una lettura che tocca corde profonde, facendo riflettere sulla natura effimera ma potente dei legami umani. È una celebrazione delle emozioni che ci rendono umani, una raccolta che riesce a catturare la bellezza e la fragilità delle relazioni attraverso il prisma di una città che, come i personaggi, vive, ama, e ricorda. Samuele Bersani, citato nel primo racconto, forse con la sua “En e Xanax” riassume bene i protagonisti della raccolta: nudi, spaesati, ma molto vivi. 

“Se non ti spaventerai con le mie paure, un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle: in due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore…”. S. Bersani, En e Xanax

La narrazione, costruita su dialoghi autentici e ricordi dolorosi, nel caso di questo primo racconto come negli altri dipinge un quadro di due persone che cercano di dare un senso al proprio passato e di trovare un modo per affrontare il futuro. Fin da questa citazione si opera una riflessione profonda sulla fragilità umana, sull’importanza del confronto con il proprio passato e sulla necessità di condividere le proprie paure per poterle superare. La scrittura, ricca di dettagli emotivi e di atmosfere sospese, cattura l’essenza di un incontro che cambia la vita dei protagonisti, rendendo una notte, come quella famosa de “Le notti bianche” di dostoevskijana memoria, un attimo di irrisoluta nostalgia, la stessa che viene al lettore che alla fine della raccolta vorrebbe tanto tornare o, se non c’è mai stato, recarsi per la prima volta a Milano. 

A Milano, tuttavia, possiamo anche trovare la casa di Umberto Eco, in Piazza Castello, quella che conteneva (lo sappiamo alla sua morte) oltre 30mila volumi e fu proprio Eco a insegnarci che: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro”.

Allora se qualcuno non è mai stato in questa città, grazie alla lettura la conoscerà in un modo diverso, profondo e autentico.

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