Si è tenuto domenica 15 dicembre a Roma la XII edizione del Premio Vincenzo Crocitti International “Vince Award”, più comunemente noto come “Il Vince”.
Una tradizione culturale che nasce dodici anni fa grazie all’idea di Francesco Fiumarella che prende forma ufficialmente nel 2013 nella cerimonia inaugurale in Campidoglio.
Il premio è stato istituito, come ha ricordato Fiumarella sul palco dell’Aula Magna del Green Park Hotel Pamphili, sede di questa edizione, con l’obiettivo di rendere finalmente concreta la possibilità “al merito della cultura artistica”. Ed è così che questo premio continua a emergere di prestigio e di credito accademico nel panorama artistico non solo nazionale ma internazionale.
Un Premio che come la sua stessa denominazione suggerisce, è nato principalmente per dare spazio vitale agli artisti, attori e protagonisti dello spettacolo che non sono figli d’arte, e non hanno iniziato sul podio la loro carriera, ma devono farsi largo anche lottando per emergere nella giungla del mercato dell’arte cui stiamo assistendo sempre più deplorevolmente. È quanto che ha rappresentato per tutti noi la vita e l’arte proprio di Vincenzo Crocitti in un tempo che non sarà mai soltanto ancorato al clientelismo degli anni ’80, ma che perdurerà fin oltre le comuni aspettative.
La celebrazione ha visto differenti categorie meritocratiche per l’assegnazione delle targhette dorate, quali i premi “alla carriera”, il cui aprifila è stato proprio il magnifico Lino Banfi(insieme a Maria Pia Di Meo, Vito Molinari e Lucia Bratassa), i premi “in carriera” (tra cui anche Adriano Giannini, Massimiliano Varrese, Luca Manfredi, Stefano Reali, Imma Piro e Sabrina Paravicini), i premi “emergenti” (Jessica Giaconi, Federica Santuccio, Valeria Matera e Denis Nazzari) e, infine, tre menzioni speciali a Mario Dell’Olio, Ayana Sambru e Kristian Paoloni.
Molti dunque gli artisti di fama nazionale e internazionale, come il nonno d’Italia Banfi, che ha dichiarato pubblicamente durante la serata di essere appena diventato bisnonno di una nuova nipotina, e che ha riempito da subito la platea di quei scroscianti applausi e risate come solo lui sa fare.
Numerosi però anche gli artisti emergenti che hanno ancora una volta dimostrato in questa pubblica cerimonia soprattutto a loro dedicata come sia compito quella di una democrazia sana e robusta di preservare il coraggio del talento e di contrapporlo all’ignavia del credito, su cui sembra tuttavia basarsi oggi anche il sistema universitario e accademico.
Ma la vera novità del premio, e anche quella più inattesa per le coordinate culturali e commerciali che circoscrivono l’attuale schema cinefilo, è proprio l’istituzione dello Special Vice Award “Adolfo Bartoli”. Lacune nere della tradizione cinematografica proposta dalla critica italiana e francese sono proprio le figure più teoretiche e sovrastrutturali dell’entourage registico. Uno di questi è il ruolo che ob torto collo sarebbe stato trascurato sin da Wells nella produzione delle pellicole filmiche, e che invece oggi specialmente si rivela rivestire una centralità unica e sensibilissima per la trasmissione dell’immagine e per la commissione del segno narrativo.
La direzione della fotografia. Essa è stata messa in luce negli anni più recenti grazie all’esimia opera storica che ne fece Adolfo Bartoli, direttore della fotografia, scomparso lo scorso giugno 2024.
Alla genialità talentuosa di Bartoli non poteva quindi risparmiarsi la dedicatio tituli di una nuova sezione del Premio Crocitti, assegnato alla attuale direttrice della fotografia Jessica Giaconi proprio dalla giovane nipote dell’ex direttore Crizia Catavolo e dalla figlia Tatum Bartoli, ospiti d’onore della serata.
L’evento si è concluso con un convivio finale a cui hanno preso parte tutti gli artisti presenti e i premiati all’evento, in compagnia degli ideatori della serata, dei presentatori, della giornalista Carmen Minutoli, che ha moderato l’evento e dello stesso fondatore Francesco Fiumarella.
Un evento in cui ancora una volta si è respirata aria non solo di meritocrazia, oggi fin troppo abusata dalla nomenclatura partitica, ma soprattutto di talentocrazia, valore sociale di cui si dovrebbe parlare con maggiore convinzione e chiarezza intellettuale, anche nelle fasce elitarie della critica.