Premierato, analisi e prospettive analitiche

Il Governo ha annunciato di voler riformare il sistema istituzionale italiano secondo l’impostazione del Premierato. Di recente sono state pubblicate le descrizioni dei principali cambiamenti, determinando discussioni variegate sia sulle loro caratteristiche intrinseche sia sui loro effetti potenziali. Tuttavia, come spesso succede nel nostro dibattito, la precisione e il rigorismo hanno dovuto lasciare spazio ad interpretazioni tutt’altro che imparziali o fedeli alla vera domanda di fondo: il sistema deve essere migliorato? E, se sì, in che modo? 

Approccio giuridico e politologico 

Quello che in Italia vediamo spesso narrare sia sui giornali sia nelle trasmissioni televisive è un filo conduttore che tende a basarsi su analisi di tipo giuridico derivate dal diritto costituzionale. Naturalmente tutto ciò è lecito e corretto, ma forse pone dei limiti ad una comprensione più sistemica e più politica della questione. 

Pertanto l’interesse della letteratura divulgativa dovrebbe cercare di ampliare lo sguardo tenendo in considerazione le nozioni della scienza politica; ed è il tipo di tentativo che questo articolo vorrebbe porre in essere. 

Quattro spunti analitici

Innanzitutto il ragionamento che trae origine dalle possibili riforme costituzionali non dovrebbe accontentarsi di stabilire quale sistema di governo occorrerebbe introdurre al posto di quello vigente; chiarendo piuttosto come questo eventuale cambiamento dovrebbe in seguito tradursi a livello di sistema amministrativo e burocratico, financo elettorale.

Pertanto la nostra analisi dovrà ovviamente partire dalla forma di governo, per poi toccare anche il sistema elettorale, l’assetto parlamentare e il funzionamento della Pubblica Amministrazione. Così facendo è possibile ipotizzare la costruzione di un quadro più chiaro, in quanto capace di mostrare le connessioni e i legami che esistono tra le varie dimensioni politiche ed istituzionali.

La forma di governo

Parlare di Premierato non significa discutere di un’involuzione democratica, o comunque di un peggioramento in tal senso. Questo a patto che l’intervento di alterazione sia ideato in armonia col portato costituzionale ereditato e senza causare situazioni disfunzionali per mancanza di precisione. Qualora ciò accada, più che di involuzione democratica si tratterebbe di confusione tecnica.

La proposta di riforma per adesso avanzata lascia intendere che il Presidente del Consiglio verrà eletto in contemporanea col Parlamento, e che la sua figura verrebbe legata ad un meccanismo di fiducia capace di indicare la sussistenza del rapporto col Parlamento; variando quello che prima era un processo coinvolgente la totalità del Governo. Questa novità potrebbe avvicinare il sistema italiano al caso di studio israeliano, de facto l’unico esempio concreto di Premierato, rimasto in vigore dal 1992 al 2001. All’interno di tale sistema le elezioni del Premier e del Parlamento erano appunto collegate, anche se la natura fortemente proporzionale del modello non ha consentito di generare una significativa ricaduta sulla stabilità del sistema.

Il vantaggio di introdurre il  Premierato in Italia risiede nell’impatto ridotto che si avrebbe nel modificare il Testo costituzionale. Indipendentemente dalle scelte specifiche la variazione della forma di governo dovrebbe investire i soli articoli che normano la carica di Presidente del Consiglio ed il Governo nel suo insieme. 

Ora, se il fine della riforma è quello di accrescere la stabilità complessiva, bisogna comprendere che questa può arrivare solo se il nuovo intervento si conformerà come momento di lancio e non di arrivo. 

Sebbene siano molte le caratteristiche tecniche implicate, le domande di ricerca dell’accademico e quelle di comprensione dell’elettore debbono dunque sondare la profondità degli impulsi derivanti dalla riforma. 

Il sistema elettorale 

Il primo elemento strettamente connesso al livello esecutivo, nonché alla sua determinazione, è sicuramente quello elettorale. Dato che la scienza politica studia anche il rapporto che si crea tra una classe politica e i cittadini-elettori, è chiaro che questo passa primariamente dal modo in cui le elezioni sono regolate. 

La soluzione migliore potrebbe essere un serio consolidamento del sistema elettorale, il quale dovrebbe risultare costituzionalizzato. Difatti, inserendo la formula elettorale direttamente all’interno della Costituzione, si eviterebbero le continue pulsioni di alterazione originate dalla regolazione con legge ordinaria. La differenza è rilevante: nel primo caso le possibilità di modifica sono maggiormente contenute, nel secondo pressoché illimitate. 

Ma quale sistema elettorale prediligere? In effetti se ne sono cambiati molti, e tanti altri potrebbero essere ancora cambiati. Se volessimo ricercare una costante, potremmo sicuramente rilevare una certa matrice farraginosa degli ultimi sistemi adottati. Difatti le nostre formule elettorali hanno solitamente fatto ricorso a meccanismi misti, cioè combinanti elementi maggioritari e proporzionali. E se, di converso, il cambiamento rompesse la continuità dei meccanismi misti? 

Lo si potrebbe fare adottando un’impostazione squisitamente maggioritaria, simile al modello inglese, in cui i collegi uninominali definiscono la selezione mediante contese elettorali tra singoli candidati e non tra liste. Questo aiuterebbe non poco la comprensione dell’elettore, per il quale sarebbe possibile associare il voto alla persona; semplificando allo stesso tempo le regole di funzionamento e portandole verso un orientamento che privilegia partiti o coalizioni più grandi.

L’assetto parlamentare

Altro elemento da chiarire, e da correggere, è il bilanciamento delle funzioni legate alle due Camere. Se infatti la cornice vigente è quella della cosiddetta ridondanza, sarebbe forse più utile costruire un’architettura che possa distribuire e calibrare con efficacia il volume degli interventi che passano dal potere legislativo. 

Compito non facile è capire, in tal caso, come ripartire le funzioni tra Camera e Senato; soprattutto in un contesto di grande incertezza, divisione e litigiosità politica. Tutti fattori che rischiano di compromettere non solo l’aggiustamento del lato puramente parlamentare, ma qualsivoglia indirizzo riformatore. 

La Pubblica Amministrazione 

Esiste un eterno dilemma che periodicamente torna ad affliggere la vita politica ed istituzionale italiana. Esso fa riferimento all’amministrazione e alla burocrazia. Si tratta di un fenomeno che è stato affrontato, senza mai essere risolto, sin dalla prima esistenza del Regno. Ricasoli addirittura non voleva creare le Regioni, un progetto sostenuto invece dal Minghetti. 

Avvicinandoci al nostro tempo, dobbiamo osservare l’esistenza di una serie di disfunzionalità relative al decentramento amministrativo. Alcune di esse, prima fra tutte la gestione sanitaria, sono emerse durante la fase acuta della pandemia. 

Quale soluzione? Talvolta si parla di centralizzazione, talaltra di rafforzare o mutare i poteri e le competenze da demandare agli enti locali e alle varie unità amministrative sul territorio. Sicuramente vi è una necessità di rinnovare la sensazione di attivismo e di presenza di uno Stato che non riesce ad essere percepito come effettivo e come intenzionato a mettere a terra risposte concrete per i cittadini. 

La scelta dei correttivi associabili all’impianto amministrativo del paese non può essere rimandata, pena la condizione incompleta dell’eventuale intento riformatore. Comprendere in che modo questa scelta si legherà alle proposte di mutamento istituzionale chiarirà meglio le direttrici ipotizzate dal legislatore. 

Conclusione; l’immobilismo come carattere immanente

Ogni volta che si parla di riforme istituzionali molte voci si sollevano a favore o contro le varie posizioni. Esiste tuttavia un retroterra comune, sul quale la gran parte dei ragionamenti finisce per poggiare. Si dice, semplificando, che la nostra Costituzione è la più bella di tutte, e che essa è già perfetta. In parte possiamo dipingere queste affermazioni come condivisibili, almeno fino al punto in cui non scadono in retorica di basso valore. Un impianto concepito nei traumi dell’eredità fascista e nelle tensioni del Dopoguerra non per forza è completamente adattabile alle esigenze politologiche ed istituzionali del nostro tempo, e forse proprio per questo dei correttivi ben ragionati sarebbero suscettibili di aiutare in tal senso. 

Ovviamente qualcuno sosterrà l’inesattezza o l’incompletezza di queste affermazioni, e qualcun altro osserverà che incomplete e inesatte risultano spesso anche le critiche aprioristiche di chi non si accorge delle anomalie sistemiche a livello istituzionale. Un giusto equilibrio tra riforma e conservazione dovrebbe essere ricercato ed elevato a dignità di via maestra; ma la visione faziosa e la poca apertura aggrediscono sempre l’armonia e la conciliazione. 

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