Più libri più liberi: le parole, la lingua e il dialetto nei romanzi

Le parole che valgono è l’evento organizzato da Treccani che, nella terza mattina di fiera, ha visto come protagonisti Antonio Manzini, Valeria Della Valle e Paolo di Paolo. Come sottolineato da quest’ultimo, moderatore dell’incontro, l’obiettivo del progetto è riflettere su come scrivono gli scrittori e su come lavorano sulla lingua. 

Di Paolo introduce facendo riferimento al 1996, nello specifico raccontando di Parola di scrittore, ovvero un insieme di interventi intorno alla cattedra di Luca Serianni, il quale radunò diversi linguisti il cui intento era interessarsi alla letteratura attraverso una lente prettamente linguistica. All’incontro parteciparono anche diversi scrittori, tra cui Sandro Veronesi. L’intento di Treccani, con l’hashtag #leparolevalgono, è proprio riprovare a mettere in scena questo incontro tra scrittori e linguisti durante la fiera. 

Protagonisti dell’incontro sono infatti Valeria Della Valle, linguista e italianista, e Antonio Manzini, autore di diversi racconti e romanzi gialli, che hanno dato vita al personaggio di Rocco Schiavone

Della Valle racconta il suo primo incontro con Manzini narratore, avvenuto nel 2000 in occasione di Roma noir, in cui si discuteva della lingua nel noir italiano.

 Nello specifico Della Valle parla della folgorazione proveniente dalla lettura di Sangue marcio, soffermandosi sulla lingua di Manzini, definita controllata, dal punto di vista della norma, ma anche moderna: un parlato, insomma, ma non folkloristico. 

Di Paolo passa poi la parola a Manzini , che racconta  del passaggio dal mestiere dell’attore a quello dello scrittore e di come la frequentazione del teatro abbia permesso a Manzini di capire quanto fosse importante l’ordine delle parole per esprimere una determinata cosa. 

Nelle storie di Manzini si fa uso del romanesco e, come sottolineato da Valeria Della Valle, l’uso del dialetto nella scrittura può risultare talvolta pericoloso. Il romanesco viene usato dall’autore per rappresentare quanto è necessario, per conoscere i personaggi che, spesso, si ritrovano in modi di dire ormai in disuso. Ciò è la prima testimonianza di quanto la lingua e i dialetti possano essere responsabili della memoria, permettendo al passato di sopravvivere. 

Manzini parla poi del suo rapporto personale con il romanesco che, in realtà, non è ereditario ma dovuto all’ascolto continuo della parlata nei bar di Garbatella e Trastevere. Il romanesco è una “lingua tonica”, continua l’autore: “Cambiando tono, una parola cambia di senso”. Manzini si diverte a fare esempi, mostrando come i modi di dire possano esprimere sensazioni diverse in base al tono. Egli definisce la poesia come la massima espressione delle parole. 

In conclusione Paolo Di Paolo si sofferma su un libro dell’autore, ovvero Sull’orlo del precipizio, in cui si fa satira sull’editoria italiana, filone che viene portato avanti durante tutto l’incontro. 

Manzini, infatti, sorride quando si parla del rapporto che hanno gli editori con gli autori del panorama italiano, ma anche e soprattutto dei lettori definiti “di nicchia”.

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